È lievito il gesto della madre
sabato 4 agosto 2018

In Cielo ella è sicura di ritrovare tua madre, ed è anche certa di ritrovare l’altra tua nonna. Donna Maria Vincenza m’assicurò che se il Padre Eterno non ti prende direttamente sotto la sua protezione, loro tre eleveranno tali proteste che il Paradiso si trasformerà in un vero e proprio inferno
Ignazio Silone, Il seme sotto la neve

Molte patologie delle religioni ebraico-cristiane e della civiltà occidentale che da esse è originata, sono conseguenza diretta del matrimonio che si è venuto a creare tra fede ed economia. La comprensione del peccato come debito è all’origine e al cuore dell’umanesimo biblico, che ha determinato una visione mercantile della religione e della salvezza. E quando la logica debito-credito si estende dalla terra al cielo, prende corpo una organizzazione forse più astratta del nostro capitalismo finanziario.
In cielo e sulla terra i peccati sopravvivono al peccatore. Quel debito resta acceso nello "stato patrimoniale" di una persona, di una comunità e di Dio, se e fino a quando qualcuno non lo estingue pagando il giusto prezzo. Dio viene inserito in questi commerci, come garante di ultima istanza del valore legale delle "monete" utilizzate e come principale controparte di questo mercato, la cui Borsa valori è il Tempio. Quel primo atto che aveva acceso il credito nella parte offesa, viene "rinegoziato" e trasformato in un nuovo contratto più complesso, una sorta di titolo derivato, che genera catene intertemporali che si estendono e amplificano attraverso lo spazio e il tempo. Oggi il nostro sistema economico ha eliminato l’ipotesi Dio, ma il dispositivo colpa-debito continua a operare sempre più indisturbato, perché non compreso o nascosto sotto le belle parole di "meritocrazia" e "incentivo". Anche perché è molto difficile liberarsi dall’idea economica della fede quando siamo sempre più circondati dall’economia e dai suoi dogmi. Avremmo bisogno di una seria analisi teologica del capitalismo per capirlo e magari provare a cambiarlo.

«Al tempo di Davide ci fu una carestia per tre anni; Davide cercò il volto del YHWH e YHWH gli disse: "Su Saul e sulla sua casa c’è sangue, perché egli ha fatto morire i Gabaoniti"» (2 Samuele 21,1). Davide deve fronteggiare una lunga carestia, forse legata a una siccità dalla durata straordinaria. Per noi le siccità e le calamità naturali sono soltanto siccità e calamità; per l’uomo antico erano anche messaggi divini che richiedevano una decodificazione. Se YHWH è l’alleato di Israele, una carestia così lunga può essere spiegata solo dall’ira divina provocata da un grave peccato. Davide si reca dunque in pellegrinaggio in un tempio importante, lì cerca "il volto di YHWH", e riceve la sua risposta: ciò che sta accadendo ha la sua causa in un precedente delitto del re Saul verso la comunità dei Gabaoniti (una popolazione cananea, amica di Israele). Non sappiamo quale fosse stato il reato di sangue compiuto da Saul. Sappiamo soltanto che Davide non mette in dubbio l’oracolo che riceve (forse tramite un profeta). Convoca i Gabaoniti per un patto, e dice loro: «"Che devo fare per voi? In che modo espierò?…". I Gabaoniti gli risposero: "Fra noi e Saul e la sua casa non è questione d’argento o d’oro…"» (21,3-4). I Gabaoniti fissano il prezzo, e chiariscono che non vogliono un risarcimento in denaro, anche se previsto dalla Legge di Mosè (Esodo 21,30). E qui incontriamo un paradosso. Quella antica idea di religione, che aveva preso dall’economia il linguaggio simbolico per dire i rapporti debito-credito tra gli uomini e con Dio, non considera però il denaro "vero" una moneta adeguata per estinguere i debiti più importanti. Per questi ci voleva il sangue.

Qui abbiamo anche una chiave di lettura per penetrare nella natura e vocazione dell’economia, se la leggiamo in rapporto ai sacrifici e al sangue. Lo sviluppo delle istituzioni monetarie nei secoli è anche stata la grande alternativa per evitare di ricorrere al pagamento con il sangue. Questo antico racconto di sangue e di debiti, nella sua follia, ci suggerisce però anche un altro messaggio di vita: quando si ha a che fare con la vita e con la morte, il denaro è troppo poco. Quando qualcuno colpisce la carne nostra e/o quella di chi amiamo, nessuna somma di denaro riesce veramente a ristabilire la situazione originaria. Ci sarebbe bisogno di un’altra logica, non monetaria e sganciata dal calcolo costi-benefici, che si chiama perdono e riconciliazione. Solo dentro queste riconciliazioni totali non-monetarie le riparazioni monetarie del danno e le pene giudiziarie svolgono la loro funzione di provare a ristabilire l’equilibrio spezzato, pur senza mai riuscirci del tutto.
A questo punto il testo si sviluppa in tutta la sua tremenda tragicità: «Quelli risposero al re: "Di quell’uomo che ci ha distrutti e aveva progettato di finirci (…) ci siano consegnati sette uomini tra i suoi figli e noi li impiccheremo [impalere-mo] davanti a YHWH a Gàbaon, offerte scelte per YHWH"» (21,5-6). Davide accetta di pagare quel folle prezzo, senza negoziare: «Il re prese i due figli che Rispa, figlia di Aià, aveva partoriti a Saul, Armonì e Merib-Baal, e i cinque figli di Merab, figlia di Saul… Li consegnò nelle mani dei Gabaoniti, che li impiccarono [impalarono] sul monte, davanti a YHWH. Tutti e sette caddero insieme» (21,8-9).

Il patto assurdo è concluso, il danno di sangue è ripagato adeguatamente con altro sangue. Noi però non possiamo non interrogare la Bibbia, e chiederle: come ha potuto Davide accettare un simile turpe commercio, credere che YHWH avesse bisogno di quel sangue per placarsi e riconciliarsi con popolo? Potremmo dire che Davide, in realtà, si sta muovendo su un piano principalmente politico: consegnando i sette sauliti, si riconcilia con i Gabaoniti ed elimina gli ultimi superstiti della casa rivale di Saul. Questa è una risposta possibile, ma parziale, perché nella Bibbia è molto difficile, se non impossibile, isolare la componente politica da quella religiosa. Il sacrificio di quelle vittime avviene infatti in un luogo sacro, il tempio di YHWH a Gàbaon, con uomini usati come "offerte per YHWH" in un contesto sacrificale. Il primo debitore è dunque Dio.
Questo patto di sangue ci rivela allora una dimensione importante della fede d’Israele agli albori della monarchia. Davide, il re secondo il cuore di Dio, il cantore di salmi splendidi, l’amico sincero di Gionata e amatissimo dalla Bibbia, con ogni probabilità credeva davvero che YHWH, il Dio diverso dell’Alleanza, potesse essere placato e soddisfatto dal sangue umano. Ma la notizia più triste è che nonostante siano passati tremila anni da quell’offerta scellerata, nonostante il cristianesimo e San Paolo, anche noi continuiamo a credere nello stesso Dio di Davide e dei Gabaoniti tutte le volte – e purtroppo sono molte – che, più o meno consapevolmente, leggiamo il sangue di Cristo in croce come il prezzo pagato al Padre per i nostri peccati, o quando offriamo il nostro dolore o persino la nostra vita come sacrificio pensando che lassù ci sia qualcuno che attende e gradisce la nostra offerta-sacrificio, e che crede che la misura della nostra genuinità sia il "sangue" e il dolore che gli "doniamo".

Ma anche in questo racconto tremendo ci imbattiamo improvvisamente nello splendore di una epifania di un’altra idea di fede, di vita, di religione – la Bibbia è immensa anche per questa sua continua auto-sovversione. È il gesto di Rispa, una donna che senza parlare ci dona uno dei discorsi più forti, drammatici e spirituali di tutta la letteratura religiosa, illuminando così quel sacrificio arcaico di una luce di paradiso: «Allora Rispa, figlia di Aià, prese il sacco e lo stese sulla roccia, dal principio della mietitura fino a quando dal cielo non cadde su di loro la pioggia. Essa non permise agli uccelli del cielo di posarsi su di loro di giorno e alle bestie selvatiche di accostarsi di notte» (21,10).
Questo versetto 21,10 del Secondo Libro di Samuele dovrebbe entrare in ogni antologia dell’eccellenza morale degli esseri umani, delle madri, delle donne. Rispa l’avevamo già incontrata (3,7). Era la concubina di Saul che il suo generale Abner "si era presa", senza chiederle il permesso, per lanciare un messaggio politico al suo re. Ora Davide le "prende" due figli per fare la sua offerta riparatrice, senza chiederle ancora il permesso (che non avrebbe mai ottenuto). Lei prende il suo sacco per il lutto, e invece di indossarlo lo stende e lo trasforma nella sua tenda. E lì veglia, giorno e notte, su quei corpi senza vita. Resta sotto quelle croci per giorni, settimane, forse mesi. Sola, come una stele di carne viva, come una sentinella che sta, con il profeta, ferma nel suo posto di vedetta sulle mura di cinta (Isaia 21), per dirci altre parole di YHWH senza parlare. A profetizzare il Golgota, e a gridare nel suo sabato santo che se c’è un Dio vero non può e non deve gradire il sangue degli uomini, perché sarebbe meno umano di lei, di noi. Sono parole mute come queste di Rispa che danno all’intera Bibbia il sapore e la fragranza della parola di Dio. Senza il gesto di questa madre e i pochi simili che costellano la Bibbia, il pane della parola sarebbe tutto azzimo e sciocco. Il gesto di Rispa ci consente di dire "Parola di Dio" alla fine della lettura di questi capitoli tremendi, senza vergognarci degli uomini, della Bibbia e del suo Dio.

Possiamo immaginare Rispa stringere quei corpi, bagnarli con le lacrime, baciarli, asciugare le ferite con i suoi capelli. Urlare contro gli uomini e, forse, contro il cielo che avevano voluto l’offerta di quei figli – le madri, da Rispa a Maria, hanno sempre saputo che nessun cielo abitato può accettare il sangue dei figli crocifissi. E poi la vediamo scacciare le belve e gli avvoltoi dai corpi dei suoi figli e anche dai corpi dei figli di Merab. Rispa veglia su quelle sette vittime, vigila sui figli, suoi e non suoi, a ricordarci per sempre che ogni figlio è figlio di tutti. Il cristianesimo, un giorno, ci ha rivelato un amore diverso, l’agape, capace di andare oltre i legami di sangue, l’amicizia e il desiderio, e così scacciare gli avvoltoi e le fiere dai corpi di tutti i figli. Ce lo ha potuto donare perché lo aveva imparato dall’amore delle madri e delle donne, che era quello che più gli assomigliava.
Il cielo tornò a piovere sulla spianata del tempio di Gàbaon, bagnò la terra e quei corpi crocifissi. Quella pioggia salvatrice non fu però la risposta al sacrificio di Davide, ma lacrime di Dio donate in risposta a quelle di Rispa e a quelle delle altre madri dei crocifissi. Solo un Dio che piange con noi per la morte e il dolore dei nostri figli può essere all’altezza religiosa di Rispa e delle sue sorelle.

l.bruni@lumsa.it

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