Una nota del discorso che andiamo testardamente svolgendo ormai da diversi anni su comunità e movimenti carismatici (il primo articolo risale all’8 febbraio 2015), forse la sua nota dominante, è il rapporto tra buone intenzioni e risultati non buoni. Molte "trappole di povertà" collettive, alcune anche buie e profonde, nascono da effetti perversi di azioni compiute in buona fede secondo una loro idea di bene comune.
Tra queste trappole di povertà una importante e troppo poco analizzata ha a che fare con i fenomeni di imitazione e conformismo che investono le comunità, soprattutto quelle carismatiche. Per entrare un poco, nello spazio di un articolo, in queste dinamiche complesse, dobbiamo semplificare il campo, e suddividere idealmente i membri di una comunità carismatica in tre categorie, sulla base del tipo di motivazioni che li hanno spinti a entrare in una comunità e poi a restarvi (ben consci che "entrare" e "restare" sono due verbi ben diversi).
Un primo gruppo di membri è caratterizzato da una dominante o esclusiva motivazione intrinseca. Sono quelle persone attratte nella comunità dal suo carisma e non da altro, perché hanno risposto a una autentica vocazione, nel giorno in cui hanno sentito una sintonia perfetta tra la loro anima e quella del carisma. Questi soggetti hanno però una struttura duale: per un verso hanno una probabilità (quasi) zero di lasciare la comunità, non fanno calcoli, danno tutto, perché (e fino a quando) si identificano completamente con il carisma. Al tempo stesso, questi membri sono in genere i primi a lasciare se si convincono che la comunità ha tradito il proprio carisma. Sono queste persone, ad esempio, che quando lasciano una comunità diventano particolarmente incattivite: essendo entrate solo per motivazioni intrinseche, l’esperienza soggettiva del tradimento è particolarmente devastante (ancor più nelle donne). In altre parole, i soggetti di questo gruppo 1, non avendo altro "incentivo" che il carisma, il giorno che scompare il carisma dalla loro anima non hanno più nessuna ragione per restare – e mille per scappare.
Queste persone a sola motivazione intrinseca sono in genere poche, e non è detto che svolgano sempre una funzione positiva – anche se in questo articolo non parlo degli effetti perversi delle motivazioni intrinseche, è bene sapere che esistono e possono essere molto gravi, perché i motivati solo intrinsecamente non ascoltano i feedback della realtà. I membri del primo gruppo non coincidono con i leader o i dirigenti: spesso queste persone si trovano nelle periferie, svolgono funzioni poco valorizzate, anche perché la loro attenzione alle dimensioni intrinseche li porta facilmente a entrare in conflitto con le esigenze gestionali del governo della comunità: tutti i capi amano le mediane, non gli estremi né le punte.
Poi ci sono i membri del secondo gruppo, che sono speculari ai primi. Sono quelle persone entrate e poi rimaste nella comunità senza nessuna vocazione o motivazione ideale. Ci sono finiti per le ragioni più varie (ricerca di compagnia, interessi, bisogni...); non sono necessariamente persone moralmente cattive, opportuniste o false, perché il loro elemento distintivo è il non attribuire alcun valore intrinseco all’ideale o al carisma – si trovano in quella comunità ma potrebbero stare in un’altra. Sono quindi persone che rispondono soltanto agli incentivi, che restano se e fino a quando conviene loro farlo – è sempre bene sapere che nelle comunità, anche quelle più belle, può esistere una quota di membri del gruppo 2, e anche la vicenda storica di Gesù ci ricorda che è probabile che esista.
Infine, ci sono i soggetti intermedi, quelli del terzo gruppo. Sono coloro che hanno una combinazione di motivazioni intrinseche ed estrinseche, sono attratti sia dagli ideali sia da incentivi. Il tratto saliente del gruppo 3 è l’agire per imitazione. Sono infatti soggetti conformisti, che traggono soddisfazione prevalentemente dal seguire i tratti culturali, spirituali, linguistici ed etici emergenti e dominanti nella comunità (Antoci, Bruni, Russo e Smerilli, The founder’s curse, 2020). Non avendo sufficiente autonomia motivazionale, il loro ethos individuale diventa l’ethos della comunità. Quindi, in base all’ethos collettivo dominante, imiteranno o i membri del primo gruppo o quelli del secondo. Siccome una comunità vive e cresce se la cultura che si afferma è in qualche sintonia con il carisma, il gruppo 3 imita il gruppo 1, perché se fossero imitati i membri del gruppo 2 la comunità si disferebbe o snaturerebbe, essendo un carisma essenzialmente una faccenda di motivazioni intrinseche.
I membri del terzo gruppo sono quelli di gran lunga più numerosi nelle comunità ideali. Anche se – e qui sta il centro di queste teorie – ogni membro di questo terzo gruppo è simile e diverso dagli altri: tutti sono conformisti, ma al di sotto dello stesso comportamento ci sono, invisibili, preferenze individuali (in parte) diverse. Alcuni, infatti, sono vicinissimi al gruppo 1, altri al gruppo 2, molti in una zona intermedia.
È all’interno del gruppo 3 dove si annodano i fili cruciali delle comunità. Innanzitutto, va notato che quando si osserva una comunità dall’esterno – e spesso anche dall’interno – non si riesce facilmente a distinguere i membri del gruppo 3 da quelli del gruppo 1. Gli imitatori si comportano come se fossero motivati intrinsecamente senza esserlo, o essendolo diversamente.
Il destino e la qualità delle comunità dipendono dalla composizione interna del gruppo dei conformisti. Se in una comunità, ad esempio, ci sono troppi membri del terzo gruppo con livelli di motivazioni intrinseche molto bassi, addensati cioè nei pressi della soglia (pari a zero) che li separa dal gruppo 2, questa comunità è molto vulnerabile alle grandi crisi ideali. I membri del gruppo 2 hanno già motivazioni intrinseche pari a zero, o negative, quindi queste crisi non li toccano. Quelli del gruppo 1 le hanno altissime, e se la crisi non investe la stessa fede nel carisma (che è crisi diversa), questo gruppo è al riparo da una diminuzione media di motivazioni. Il gruppo critico è dunque il terzo. E lo è per molte ragioni, tutte cruciali.
Supponiamo che la maggior parte dei membri del gruppo 3 di una comunità X abbiano oggi motivazioni intrinseche molto basse, comprese, ad esempio, tra 0.1 e 0.6. Queste motivazioni sono sufficienti per non appartenere al gruppo 2 ma al gruppo 3. Se in questa comunità giunge una crisi che abbassa le motivazioni intrinseche di tutti per un valore medio – diciamo – di -0.6, tutti quegli imitatori con una dotazione motivazionale compresa tra 0.1 e 0.6 finiranno per avere motivazioni negative o nulle. Si trasformano di fatto in membri del gruppo 2. Situazione opposta quando i valori motivazionali del gruppo 3 si addensassero sulla soglia di separazione col gruppo 1.
Si comprende allora che la capacità di resistere alle grandi crisi dipende molto da come la comunità e i suoi dirigenti si rapportano con gli imitatori-conformisti nei tempi ordinari. Ci sono comunità che facilitano e sviluppano una cultura dell’imitazione conformista e quelle che invece favoriscono l’autonomia delle singole persone. La cultura imitativa è molto tentatrice, perché rende moltissimo nel breve periodo, per la sua caratteristica di ridurre le discussioni, gli attriti decisionali, i costi di gestione, di velocizzare i processi; la seconda è invece più lenta, più costosa, più rischiosa. Formare all’autonomia significa rinunciare al pieno controllo delle coscienze, mettere tutti nelle condizioni di maturare convinzioni personali sul carisma, di trovare la propria vocazione nella vocazione, di decidere liberamene di restare o di andare (a volte si resta solo perché non si ha la libertà di andare), lavorare sui "perché" e non sul "come", cioè sulle ragioni profonde del carisma e non sulle tecniche. Quando prevale il primo tipo di formazione, la maggiore velocità ed efficienza nei tempi felici produce una enorme vulnerabilità nei momenti critici.
Ma c’è di più. Nelle comunità carismatiche il conformismo è in genere particolarmente premiato e incoraggiato. Mentre le imprese, con il loro pragmatismo, a volte remunerano e incoraggiano membri anticonformisti e creativi (se portano fatturato e profitti), nelle comunità carismatiche l’anticonformismo è quasi sempre sinonimo di infedeltà al carisma, è considerato comportamento deviante da scoraggiare, perché in genere non si sa come gestirlo. La fedeltà finisce per essere identificata con la conformità al carisma, e la conformità al carisma con la conformità all’ethos dominante nella comunità. Da qui una conseguenza pratica importante: i dirigenti di queste comunità, coloro che giungono nelle posizioni apicali centrali e periferiche, sono in genere membri del gruppo 3, raramente del gruppo 1; conformisti che però vengono in genere scambiati per persone intrinsecamente motivate come quelle del gruppo 1.
Confondendo fedeltà e conformismo, e dunque premiando il conformismo, si facilitano governi ed ethos conformisti, incapaci di quella creatività e innovazione che sarebbero essenziali per la continuazione di una comunità nel tempo. Queste "trappole" sono tra le cause più comuni del declino delle comunità ideali.
Inoltre, quando la cultura comunitaria forma all’imitazione e al conformismo nel breve periodo vede aumentare i membri ma non le vocazioni, perché cresce attirando molti con culture conformiste – aumentando il gruppo 3 (e un poco il 2), a scapito del gruppo 1. Poi il successo numerico illude che la strategia formativa sia quella giusta, il circuito si auto-alimenta nel tempo fino a creare una perfetta "trappola di povertà". In comunità a cultura prevalentemente conformista le crisi motivazionali sono devastanti, qualche volta fatali, perché aver premiato e incoraggiato il conformismo ha generato persone con bassa motivazione intrinseca e bassa autonomia.
Le crisi allora possono essere viste come degli stress-test che misurano la natura delle persone che compongono una comunità: una crisi che genera molte defezioni può segnalare che quella comunità era cresciuta attraendo molti – o quasi esclusivamente – membri imitatori. E da lì, magari, provare a risorgere – a risorgere si impara sui Golgota.
Scenari ancora diversi si aprono quando a provocare la crisi è l’uscita di uno o più membri del gruppo 1, quando a lasciare non sono né membri del gruppo 3 né del gruppo 2, ma qualcuno con altissime motivazioni intrinseche. In questi casi gli effetti sono ancora diversi, ma di questo parleremo in un’altra occasione.
Dopo i grandi successi dei miracoli di Galilea, il Vangelo di Giovanni ci narra la prima grande crisi della comunità di Gesù: «Disse allora Gesù ai Dodici: "Volete andarvene anche voi?"» (Gv 6,60). Gesù rivela ai suoi chi è davvero, e arriva la crisi. Tra chi lo aveva seguito c’era una popolazione molto diversificata, con motivazioni diverse. Molti lasciarono. Ma tra quelli che restarono ci furono quelli capaci di resistere alla crisi più grande, quella del crocifisso. E poi cambiarono il mondo.
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