La madre di tutti i desideri
sabato 30 aprile 2022

Il sì di Dio alla croce è il giudizio sull’uomo di successo
Dietrich Bonhoeffer, Etica


Il sogno del re babilonese Nabucodonosor è uno dei sogni più famosi della letteratura antica. Daniele non lo deve solo interpretare, deve conoscerlo in visione senza che il re glielo abbia prima raccontato. Nessun indovino poteva dunque eseguire questo doppio esercizio: «Daniele rispose al re: "Il mistero di cui il re chiede la spiegazione non può essere spiegato né da saggi né da indovini, né da maghi né da astrologi"» (Daniele 2,27). Daniele non è un mago come tanti: «C’è un Dio nel cielo che svela i misteri ed egli ha fatto conoscere al re Nabucodònosor quello che avverrà alla fine dei giorni» (2,28). La sua miracolosa abilità nella lettura dei sogni non è dunque una tecnica: è dono di Dio.

Nello svelare il segreto di Daniele l’autore del libro ci sta allora insegnando la differenza che nella Bibbia c’è tra un mago e un profeta. Gli astrologi, gli indovini, gli incantatori, gli aruspici, sono mestieri, tecniche, faccende umane. Sono talenti che in varie forme e intensità sono state sempre presenti nelle comunità, e non solo nel mondo antico, dove ci sono sempre state persone capaci di cogliere i segnali deboli della vita, di intuire le tracce profonde dell’anima collettiva e delle persone. La profezia biblica è invece tutta gratuità. Non è questione di intelligenza, di saggezza, di meriti. Il profeta non è più colto o saggio dei maghi e dei sapienti, ha solo ricevuto per vocazione la capacità di udire la voce di Dio e il suo spirito sulla terra: «Se a me è stato svelato questo mistero, non è perché io possieda una sapienza superiore a tutti i viventi» (2,30). I profeti sono ben coscienti di non avere nessun merito per la funzione che svolgono, il loro unico "merito" è non trasformarsi in falsi profeti.

Eccoci finalmente al grande, meraviglioso e tremendo sogno del re, rivelato in visione notturna a Daniele: «Tu stavi osservando, o re, ed ecco una statua, una statua enorme, di straordinario splendore, si ergeva davanti a te con terribile aspetto. Aveva la testa d’oro puro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi in parte di ferro e in parte d’argilla. Mentre stavi guardando, una pietra si staccò dal monte, ma senza intervento di mano d’uomo, e andò a battere contro i piedi della statua, che erano di ferro e d’argilla, e li frantumò... La pietra che aveva colpito la statua divenne una grande montagna che riempì tutta la terra» (2,31-35). Una statua gigantesca, forse simile a quelle che gli ebrei avevano visto a Babilonia, che troviamo anche in molta letteratura antica medio-orientale. Una statua composta di cinque materiali di qualità degradante scendendo dalla testa d’oro ai piedi d’argilla – la teoria delle quattro o cinque età della storia era conosciuta in molte culture antiche, compresa quella greca. Nel sogno un masso, senza intervento umano, si stacca dalla montagna e distrugge la statua, e quella pietra demolitrice diviene una grande montagna. Dopo aver rivelato il sogno, Daniele dà al re anche l’interpretazione: «Tu, o re, sei il re dei re; a te il Dio del cielo ha concesso il regno, la potenza, la forza e la gloria... tu sei la testa d’oro. Dopo di te sorgerà un altro regno, inferiore al tuo; poi un terzo regno, quello di bronzo, che dominerà su tutta la terra. Ci sarà poi un quarto regno, duro come il ferro... Come hai visto, i piedi e le dita erano in parte d’argilla da vasaio e in parte di ferro: ciò significa che il regno sarà diviso... Al tempo di questi re, il Dio del cielo farà sorgere un regno che non sarà mai distrutto e non sarà trasmesso ad altro popolo... esso durerà per sempre. Questo significa quella pietra che tu hai visto staccarsi dal monte"» (2,37-45).

Le interpretazioni di questa interpretazione di Daniele hanno, letteralmente, riempito biblioteche. Quali erano questi regni? Il primo d’oro ce lo dice Daniele: è quello di Nabucodònosor ("tu sei la testa d’oro"). Sugli altri ci sono stati e ci sono molti dubbi, anche se molti concordano sui Medi (argento) Persiani (bronzo) e i Greci (ferro), dominio che dopo la morte di Alessandro si dividerà in due parti: Seleucidi (Nord) e Tolomei (Sud). Periodicamente nel Medioevo mistici e teologi individuavano il quarto regno che stava per crollare nell’uno o nell’altro impero di turno, e la profezia di Daniele si aggiornava dopo ogni generazione. Perché se la Bibbia è viva, e lo è, mentre la leggiamo, il quinto regno è quello che deve ancora arrivare: l’ariete viene ogni giorno a salvare il figlio dalla morte, ogni Venerdì Santo prega e invoca la sua resurrezione. Il passato non è l’unico né il primo tempo della Bibbia. Il re è tramortito dalla performance straordinaria di Daniele: «Allora il re Nabucodònosor si prostrò con la faccia a terra, adorò Daniele e ordinò che gli si offrissero sacrifici e incensi. Quindi, rivolto a Daniele, gli disse: "Certo, il vostro Dio è il Dio degli dèi, il Signore dei re e il rivelatore dei misteri, poiché tu hai potuto svelare questo mistero"» (2,46-47).

Che cosa hanno da dirci ancora questi sogni e queste interpretazioni antiche? Mentre l’autore scriveva il libro di Daniele, il suo popolo stava vivendo un tempo di grande oppressione, violenza, persecuzione, delusione. Il popolo eletto aveva conosciuto solo l’oppressione di popoli più forti che, uno dopo l’altro, lo avevano invaso. E arrivava la domanda terribile: che senso ha ancora continuare a sperare, a credere, ad amare la nostra fede? Ci siamo illusi tutti, siamo entrati tutti dentro una bolla di vanità? In questo contesto, il libro di Daniele tenta una via d’uscita, importante per il suo tempo e per il nostro.
Innanzitutto, Daniele riconosce la possibilità che anche un re pagano, invasore e oppressore, può ricevere una visione autentica di Dio (2,28). La Bibbia, che tanto ha combattuto gli idoli babilonesi, in Daniele ci dice che Dio può rivelarsi anche a un nemico. Sono queste pagine che fanno immensa la Bibbia. Il dono della profezia vera può essere utilizzato anche per interpretare sogni e visioni di nemici. Come fece Giuseppe con il faraone, e come accade ancora tutte le volte che una persona o una comunità è capace di usare il proprio carisma non per interpretare se stessa e i propri sogni, ma i sogni e i misteri degli altri; anche quando gli altri sono quelli che non ci capiscono, che non ci vogliono bene, che ci opprimono, ma che, senza saperlo, avrebbero un essenziale bisogno del nostro carisma per dare un senso diverso ai loro stessi sogni che riguardano anche noi, che riguardano tutti. Non c’è forse gratuità più vera e pura di questa: far diventare il nostro dono l’esegeta dei sogni di chi ci ha deportato in esilio. Lo facciamo e basta, solo per vocazione, perché non possiamo non farlo, senza aspettarci nessuna reciprocità. Ma non è raro che grazie a quegli incubi svelati, i nostri nemici ricevano una benedizione che finisce per benedire anche noi - dove sono oggi nuovi Daniele che invece di maledire i nuovi Nabucodonosor provano a parlarci, a interpretare i loro sogni terribili? Questi Daniele non ci sono, i re uccidono tutti i sapienti e gli indovini, ossessionati dai loro incubi distruggono tutti e tutto. Anche re cattivi possono fare "sogni" veri, ma senza interpreti-profeti i sogni si guastano e vanno a male.

Non sappiamo perché Dante scrisse la Commedia, di nessuna opera immensa lo sappiamo. Una ragione, forse, non era troppo lontana dall’anima del libro di Daniele. Anche lui in esilio, anche lui deluso e scoraggiato per il suo popolo fiorentino, anche lui dentro una "selva oscura". Forse un giorno Dante capì che se l’esistenza terrena fosse l’unico tribunale della storia, se gli inferni, i purgatori e i paradisi fossero solo quelli su questa terra, tutto sarebbe troppo ingiusto e sbagliato, i poveri urlerebbero un grido inconsolato che abbuierebbe l’universo intero. Lo "scarto" d’ingiustizia della storia sarebbe insostenibile, per noi e ancor più per Dio. Da questo dolore e da questa domanda diversa di giustizia nacque la Commedia e suoi secondi regni. Ecco perché non mi ha stupito, qualche giorno fa, ritrovare Daniele nel XIV canto dell’Inferno – me lo aspettavo: «La sua testa è di fin oro formata, e puro argento son le braccia e ’l petto, poi è di rame infino a la forcata; da indi in giuso è tutto ferro eletto, salvo che ’l destro piede è terra cotta; e sta ’n su quel più che ’n su l’altro, eretto» (106-111). E ho capito meglio Dante, ho capito meglio Daniele e la sua escatologia, cioè il suo bisogno di un quinto regno. Il regno del non-ancora, che però è un regno terreno – "riempì tutta la terra". È la terra delle donne e degli uomini, dei bambini e delle bambine. È questo il grande valore della profezia, che non è utopia perché la terra del quinto regno è la nostra terra, quella dei nostri figli, dei nostri nipoti. Non un’altra. Il quinto regno di Daniele è il nostro regno finalmente di pace. Il profeta onesto sa anche che non è il regno del successo, della forza e della vittoria, e che arriverà come vento sottile di silenzio, e noi non lo riconosceremo.

L’escatologia di Daniele è bisogno tutto umano, è la madre dei desideri. Prima di essere una faccenda religiosa è cosa civile, politica, economica: è pace, è economia che sfama e non affama, diritto e giustizia. Nasce e rinasce negli esili, nelle dominazioni, sotto le macerie. Nasce in quel giorno, durante gli esili, quando hai ormai consumato tutte le lacrime per la cattiveria dei potenti divorati dai loro incubi, e improvvisamente l’anima vola su un alto monte. Da lì, in visione, assiste al crollo della tremenda statua degli imperi. Capisci che tutto è vanitas, che tutti i regni più grandi finiscono, che nessun impero dura per sempre, e scopri la caducità della scena di questo mondo. E ti arriva una nuova pace, un’altra pietas per quei re auto-illusi; senti un’altra consolazione, e capisci che questa non è vana. Ma poi, in un giorno ancora diverso, scendi dalla montagna. Lasci la contemplazione della fine, torni tra le macerie generate dagli incubi dei potenti e dagli imperi. Inizi a prenderti cura delle vittime, a ricostruire un brandello di questa terra devastata. E in attesa che arrivi la grande pietra e il regno del non-ancora cerchi di rendere meno ingiusto il piccolo angolo della tua città desolata. Il quinto regno è già cominciato.

l.bruni@lumsa.it

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