È la reciprocità che converte
educare i bambini a diventar
presto grandi, quanto
educare i grandi a sapersi
fare – rifare – bambini.
La repubblica dei marmocchi
Come si sviluppò la prima comunità attorno a Gesù? Marco ce la descrive così: «Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando. Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: "Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro". Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano» (6,6-13).
In Giovanni i primi discepoli arrivano dal movimento del Battista; per Marco e i sinottici Gesù li chiama lungo il mare di Galilea. Una volta tornato dalla Giudea, al termine della sua esperienza col Battista, il suo primo gesto è una chiamata di discepoli, di compagni, di amici, a dirci che questa storia straordinaria è storia collettiva, comunitaria, sociale, è la storia del "due o più", una storia da subito ecclesiale. Gesù inizia immediatamente la sua missione associando il suo nome ad altri nomi: Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni. Il primo nome dei "cristiani" è nome plurale. Elia, molto presente in queste storie di Marco, chiama Eliseo alla fine della sua missione, Gesù li chiama all’inizio; li chiama a coppie, a coppie di fratelli. «Guai ai soli», cantava pochi secoli prima il saggio Qoelet, e se la fraternità nello spirito non è quella del sangue, questo inizio ci dice che qualche volta possono incontrarsi. Marco racconta che i primi discepoli vengono chiamati da Gesù mentre stanno lavorando, nel loro gesto di pescatori. Pescatori, quindi lavoratori addestrati all’azione collettiva – la pesca di mare o lago è lavoro necessariamente del "due o più".
All’inizio della comunità di Gesù c’è il lavoro. E c’è in continuità con una nota costante della Bibbia, che in questo si mostra umanesimo del lavoro. Nella Bibbia, alcune chiamate decisive avvengono mentre le persone stanno lavorando. Amos, Gedeone, Giuditta, Davide, ricevono la loro vocazione mentre lavoravano. Gesù chiama i suoi amici e li chiama a diventare "pescatori di uomini". Quella abilità tecnica che avevano appreso imparando il difficile mestiere di pescatori di pesci ora Gesù chiede loro di usarla per un altro compito, per un altro mestiere. Annunciare il Regno è una vocazione, non è una professione, ma assomiglia a un mestiere, perché ha bisogno di una competenza, di una abilità, di un impegno, di un apprendistato. Non si diventa professionisti della vocazione, ma competenti sì; e senza persone che sanno "pescare uomini" almeno come sanno pescare i pesci non nasce nessun movimento, nessuna avventura come quella cristiana.
Gli apostoli saranno visti, di tanto in tanto, dai Vangeli mentre pescano anche negli anni che vivono accanto a Gesù (si pensi alla pesca miracolosa); a dire che lasciare le reti dei pesci per maneggiare quelle degli uomini non significa necessariamente lasciare definitivamente e materialmente le prime barche per la barca della Chiesa. Nella storia della Chiesa alcuni apostoli hanno lasciato, anche materialmente, le prime barche e le prime reti, e non le hanno riprese più; altri apostoli le hanno lasciate solo con lo spirito, e hanno continuato a maneggiare le stesse barche di prima e hanno raccolto pesci e uomini, spesso con le stesse reti, quando il lavoro è rimasto lo stesso dopo la vocazione. Ci sono sempre stati molti modi di essere apostoli. Così nelle nostre comunità e movimenti: i loro membri non sono professionisti dello spirito, né tantomeno dipendenti di un’azienda; ma sono competenti, qualche volta anche nel lavoro, e la competenza laica del lavoro nutre e sostiene l’altra competenza apostolica. Il rischio da scongiurare è che l’invito a lasciare le reti faccia perdere la vecchia competenza e non ne generi nessuna nuova.
Perché Gesù ordina ai suoi apostoli di non prendere per il viaggio «né pane, né sacca, né denaro...»? Gesù sta creando un nuovo tipo di uomo e quindi di comunità. Qui capiamo perché i cristiani all’inizio erano chiamati "quelli della via", quelli che camminavano. La comunità di Gesù era una comunità mobile, una sequela, un camminare dietro, un ritornare "arameo errante". Tenda, accampamento, precarietà, non-stanzialità. E così rimasero per decenni le comunità cristiane, i decenni che hanno cambiato la storia.
Queste richieste dell’apostolato creano una condizione di dipendenza dagli altri, che è forse il messaggio più importante. Se non hai casa, se non hai con te né pane né soldi, allora per vivere hai bisogno dell’ospitalità di qualcuno che ti accoglie e ti sfama. Il messaggio cristiano è allora essenzialmente un’esperienza di reciprocità fin dall’inizio: gli apostoli portano l’annuncio del Vangelo, il vero tesoro, e ricevono un giaciglio e un tozzo di pane. Questa reciprocità di beni materiali è parte dell’esperienza dell’apostolo, e se manca non può, né deve, annunciare il Vangelo. Ecco perché quando non c’è questa reciprocità «andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi». Perché se chi deve ricevere l’annuncio del Vangelo non si pone da subito in un atteggiamento di accoglienza e di dono non può capire quel Vangelo annunciato. Il Vangelo dell’amore si apre a chi è già nell’amore. E il comandamento nuovo, quello dell’amore scambievole, lo si vive già dall’annuncio: il discepolo ha bisogno della reciprocità di chi ascolta, che lo ama ancora prima di convertirsi, semplicemente ascoltando e accogliendo. E se non lo fa, si passa oltre. Altrimenti è un tesoro buttato via.
Tale reciprocità, è essenziale quasi come il messaggio. Chi ascolta il Vangelo deve prima dare. Chi annuncia il Vangelo sa che il primo dono che può fare a chi ascolta è donargli la possibilità di donare, per poter ricevere e poi, forse, capire. Chi annuncia il Vangelo sa di essere un mendicante di questa reciprocità. Nella oikonomia del Vangelo il donatore ha un bisogno essenziale del donatario. Abilità grande di ogni annuncio è mettere le persone alle quali si vuole donare una buona novella in atteggiamento di donazione.
La comunità, questa comunità, non è una corte messianica, non è una comunità esoterica, ma una comunità missionaria e nomade, che si ritrova ogni tanto insieme, ma per subito ripartire. È comunità di annunciatori, e sono il messaggio e la stessa esperienza a fondare la comunità, non la coabitazione né l’insistere nello stesso terreno. Non stavano insieme per cercare il calore della casa, preferivano il freddo della strada e non la comfort zone della casa. E su quella via nuda e povera i discepoli, inviati due a due, evangelizzavano e guarivano. Non partivano sognando il ritorno a Itaca, la loro Itaca era la strada: ecco perché c’è molto dell’umanesimo cristiano nell’Ulisse di Dante, anche se lo mette nell’Inferno, perché tutta la Divina Commedia è paradiso grazie allo sguardo di pietas di Dante.
Solo così poteva nascere una Chiesa capace di arrivare presto in tutti gli angoli della Terra, perché le sue colonne erano state formate all’arte della strada. Le comunità spirituali, certamente quelle più autentiche e sane, nascono sulla strada. Però nel corso del tempo è quasi inevitabile che il calore della casa vinca sul freddo della strada, e così poco alla volta da comunità fatte di annunciatori diventano comunità di consumatori di beni spirituali, e qualche volta questo consumo interno diventa così importante da non sentire più il freddo di coloro che stanno lungo la strada. È così che le comunità muoiono, ma possono risorgere se un giorno reimparano la disciplina della strada. Quando la comunità diventa un labirinto dell’anima, o spicchiamo il volo come Icaro (assumendoci tutti i rischi del volo) oppure cerchiamo dentro il carisma una Arianna che ha lasciato un filo di salvezza per noi.
l.bruni@lumsa.it
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