La tenacia onesta del mantice
sabato 20 maggio 2017

E la folla esultava schioccando le dita. Zarathustra invece divenne triste e disse al suo cuore: «Non mi capiscono: io sono la bocca per questi orecchi. Ora mi guardano e ridono; e mentre ridono, ancora mi odiano. C’è gelo nel loro riso».
Friedrich Nietzsche
Così parlò Zarathustra

Il Dio biblico non parla in prima persona sulla terra, le sue parole ci raggiungono solo come parole di uomini e di donne. Chi scende dal Sinai con le Tavole della legge è Mosè, un uomo. A lui YHWH parla nella tenda del convegno, solo con lui dialoga "bocca a bocca", e gli dice parole che poi il popolo può conoscere. Se vogliamo ascoltare la parola di Dio nel mondo dobbiamo soltanto e semplicemente imparare ad ascoltare uomini e donne, come noi. È una parola che si comunica mentre guardiamo degli occhi alla stessa altezza dei nostri. Non la troviamo né alto né in basso: è solo di fronte a noi. È l’uomo il luogo dove Dio sa parlare agli uomini. Soltanto uomini e donne possono far risorgere ogni giorno la Bibbia e i Vangeli, dicendo a quelle parole: "vieni fuori". Senza persone che le chiamano per nome, qui e ora, anche le parole bibliche restano morte nei loro sepolcri.

I profeti sono uomini e donne che continuano a far parlare Dio nel mondo – anche quando non lo sanno, o quando non lo chiamano Dio. Ma noi non riusciamo a incontrarli perché li cerchiamo nei luoghi sbagliati. Pensiamo, magari, che abitino solo nei templi, nei santuari, che ci parlino di Dio con il linguaggio che noi pensiamo debba parlare un dio che si rispetti; che siano istruiti, teologi, biblisti, esperti in liturgia o, quantomeno, in catechismo. Li cerchiamo tra i profeti di professione, e così troviamo quasi soltanto falsi profeti in continua ricerca di clienti per i loro commerci. I profeti veri, invece, non sono quasi mai nei luoghi dove vorremmo che fossero, non svolgono il mestiere profetico e non ne assumono i tratti e gesti tipici. Perché quasi tutti abitano nelle periferie dell’impero, non frequentano i templi, parlano raramente linguaggi religiosi (a volte neanche li conoscono, né ne sono attratti), e sono quasi sempre poveri e scartati: pastori di greggi, un fratello ragazzo e sognatore, un bambino in una mangiatoia.
Essendo voce umana, la voce dei profeti è sempre meticcia, impura, imperfetta, e quindi non la riconosciamo come voce di Dio perché pensiamo che questa dovrebbe essere pura, perfetta e incontaminata, esattamente come quella dei falsi profeti.
Tutto ciò fa della fede non-falsa qualcosa di infinitamente laico, quotidiano, umile. E quindi qualcosa di meraviglioso, anche se molto difficile da capire e da vivere perché noi amiamo le fedi spettacolari, visionarie, straordinarie. Non ci piace che lo spirito di Dio ci tocchi l’anima mentre laviamo i piatti, risistemiamo la stanza, quando insegniamo aritmetica a scuola, quando sbrighiamo in ufficio la solita pratica. No, la vita vera non ci basta, ci piace illuderci con le vite sensazionali vendute sui banchetti dei falsi profeti. E così, alla fine dei nostri pellegrinaggi, troviamo Baal ad attenderci nei templi e nelle chiese, per ridurci ancora in schiavitù.

«Io ti ho posto come saggiatore in mezzo al mio popolo, perché tu conoscessi e saggiassi la loro condotta. (...) Il mantice ha soffiato con forza, soltanto il piombo esce intatto dal fuoco, invano ha fuso il fonditore, le scorie non si separano. "Argento di scarto" è il loro nome» (Geremia 6, 27-30). Alla fine del primo periodo dell’attività profetica di Geremia (nel 609), il profeta descrive il suo fallimento totale con il linguaggio della metallurgica dell’argento, arte molto antica e diffusa nel Vicino Oriente. Il piombo che conteneva quantità di argento durante il processo noto come coppellazione veniva trattato con fuoco a temperature molto alte; grazie poi all’immissione di aria tramite mantici, l’argento si separava dalle scorie impure che venivano scartate. Il saggiatore doveva vigilare sul successo del processo, saggiando la purezza del metallo nobile che usciva dal crogiolo – perché non sempre l’operazione di separazione riusciva, a causa della eccessiva impurità che restava nell’argento.

La metafora di Geremia è radicale: il piombo è rimasto intatto nel crogiuolo, il piombo è uscito dal fuoco e dal mantice così come vi era entrato. Nessun grammo di argento: soltanto piombo. Il fallimento della sua missione è assoluto: il mantice della sua parola ha soffiato forte, ma dal piombo non è uscito niente di nobile: piombo prima, piombo dopo, l’azione dell’artigiano è stata totalmente vana.
I profeti non hanno paura di annunciare il fallimento della loro azione – i falsi profeti, invece, parlano solo di successi. Il profeta è l’umile azionatore del mantice e l’onesto saggiatore della purezza del metallo. Impiega tutte le sue forze affinché il mantice generi più aria possibile. La sua azione è allora tutt’altro che passiva, perché il profeta non è un medium: può azionare il mantice con più o meno energia, e può anche smettere di muovere le sue braccia – tentazione sempre presente e forte. Quando poi quell’artigiano dell’argento ripone, sfinito, il mantice e saggia il metallo, può solo prendere atto che il metallo puro non è arrivato. È questo il duplice, difficile compito del profeta: operatore instancabile del mantice e saggiatore onesto del metallo. Non può cambiare la storia, può solo registrarla, anche se non gli piace e lo fa soffrire. Ed è in mezzo a questo duplice sforzo delle braccia che muovono il mantice, e dell’anima che deve resistere di fronte alla tentazione di cambiare i risultati per far contenta la gente, che vive e matura la profezia vera. Esaurirsi fino allo sfinimento per muovere aria, e restare forti fino alla morte per non manipolare la realtà che esce dal crogiuolo. I profeti veri diventano falsi profeti o perché non si stancano abbastanza nel mantice, o perché manipolano i risultati e non dicono la triste verità che non vuole essere ascoltata. Quelli peggiori sono poi coloro che non soffiano aria per poter dire che l’argento non si è separato dal piombo, e maledirlo. I profeti veri, invece, di fronte al piombo intatto vivono sempre nel dubbio che l’argento non sia arrivato perché non hanno attivato il mantice con sufficiente forza – perché mentre saggiano il metallo sentono un altro Saggiatore che saggia il loro cuore, e hanno sempre la sensazione (o certezza) che anche dal loro crogiuolo esca solo piombo: ma non smettono di soffiare col mantice, fino alla fine.

Da questa esperienza di insuccesso totale fiorisce come fiore del deserto il grande discorso di Geremia sul tempio, parole straordinarie che potevano sbocciare solo da un grande e accolto fallimento: «Questa parola fu rivolta dal Signore a Geremia: "Férmati alla porta del tempio del Signore e là pronuncia questo discorso"» (7,1). Geremia grida: «Voi confidate in parole false, che non giovano: rubare, uccidere, commettere adulterio, giurare il falso, bruciare incenso a Baal, seguire altri dèi che non conoscevate. Poi venite e vi presentate davanti a me in questo tempio... e dite: "Siamo salvi!", e poi continuate a compiere tutti questi abomini» (7,8-9).
I profeti sono critici dei templi e nemici dei sacrifici. Sanno con estrema chiarezza che dietro i sacrifici si nasconde il vero nemico della fede vera. Il Dio di Abramo che ha rivelato il suo nome a Mosè si era mostrato come un Dio diverso perché <+CORSIVOIDEE_BAND>aveva<+TONDOIDEE_BAND> donato al popolo un’altra relazione, un’altra fede, liberata dalla logica economica dei sacrifici, una promessa di un’altra felicità: «Io non parlai né diedi ordini sull’olocausto e sul sacrificio ai vostri padri, quando li feci uscire dalla terra d’Egitto, ma ordinai loro: "Ascoltate la mia voce... perché siate felici"» (17,22-23). I sacrifici non sono soltanto sciocchi, sono estremamente dannosi, perché ingannano e alimentano le infedeltà e i peccati del popolo. I sacrifici, infatti, sono prezzi pagati per comprare la possibilità di peccare ancora, trasformano tutti i peccati in merci acquistabili sul mercato religioso. È in questo contesto che si comprende la frase diventata celebre grazie ai Vangeli: «Questa casa, sulla quale è stato invocato il mio nome, è dunque diventata una spelonca di ladri?» (7,10). Non sono i mercanti a essere chiamati ladri (come a volte si sente dire) ma il popolo intero, che è furfante perché continua a commettere i crimini più gravi, con l’illusione di poterli poi espiare e re-espiare offrendo sacrifici al tempio. È la religione economica e sacrificale che trasforma immediatamente il tempio in una spelonca dove i delinquenti si rifugiano. Fu questa stessa polemica contro la religione commerciale-sacrificale che portò Gesù di Nazareth, secoli dopo Geremia, a criticare il tempio e i suoi commerci religiosi.

Senza i profeti tutte le religioni si trasformano in commerci di offerte, voti, preghiere e penitenze che vorrebbero coprire le nostre cattiverie: lo abbiamo sempre fatto, continuiamo a farlo. Più i peccati diventano efferati, più alto diventa il prezzo dell’espiazione, fino a sacrificare i nostri figli pur di poter dire "siamo salvi": «Hanno costruito le alture di Tofet nella valle di Ben-Innòm, per bruciare nel fuoco i loro figli e le loro figlie, cosa che io non avevo mai comandato e che non avevo mai pensato» (7,31). Ieri, oggi, forse domani.
I profeti, esperti di Dio e di umanità, ci donano allora una grande verità. L’idolatria si annida dentro i templi e le chiese, perché, senza il martello della profezia, sono le religioni che diventano inevitabilmente i primi nemici del Dio che professano. I sacrifici idolatrici non sono soltanto quelli offerti a Baal ma anche, e soprattutto, quelli offerti a YHWH, che diventa uno dei tanti stupidi Baal, quando lo facciamo precipitare dentro la logica economica dei sacrifici.
Ogni persona, anche quella più onesta e vera, quando inizia una esperienza di fede seguendo una voce finisce col costruire il suo culto, blocca Dio e gli ideali veri in cose morte che si chiamano pratiche religiose, mestiere, status, comunità, movimento. Impedisce a Dio, o ai propri desideri più grandi, di diventare qualcosa di diverso dall’idea che se ne è fatta. Ama talmente i suoi sogni più belli da non volersi svegliare più. Senza i profeti, le promesse spirituali della giovinezza diventano nella vita adulta banali culti idolatrici. I profeti non ci liberano soltanto dagli idoli, ci liberano anche dalla nostra idea di Dio, dai nostri culti, dalle nostre illusioni religiose. E poi ci fanno tornare a camminare poveri e liberati nelle periferie dell’impero, ancora in cerca di una grotta, di un bambino, di una mamma, di un carpentiere.

l.bruni@lumsa.it

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