martedì 25 febbraio 2014
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Il Parlamento è lo stesso di prima, il quadro politico resta segnato dalle crepe e macchie che conosciamo bene, i numeri dei conti dello Stato e dei bollettini della crisi sono sempre desolanti, la cornice europea è ancora ferrea e storta (una cella di rigore che preserva solo le difficoltà di Paesi come il nostro e comincia a infiacchire pure l’Unione dei forti raccolta attorno alla Germania). Eppure, ieri, in Senato, all’esordio del secondo governo (il primo «politico») della XVII legislatura qualcosa di nuovo è accaduto. Per ora solo a parole. Ma in un modo che non ha precedenti nelle cronache parlamentari.In certi alti e intensi frangenti del passato, s’è potuto scrivere di uomini di governo che, dal Parlamento s’erano rivolti anche al Paese, anche alla gente. Ieri, da Matteo Renzi – uno che sa dire molto e, in una condizione niente affatto ideale, s’è quasi incredibilmente caricato del dovere di dimostrare quasi tutto – abbiamo ascoltato intenzioni e attenzioni che rovesciano lo schema abituale alto-basso. Abbiamo sentito un presidente del Consiglio parlare al Parlamento soprattutto della vita delle nostre città e della gente comune. Furbizia? Azzardo? Illusione? C’è chi lo pensa e chi lo grida. C’è chi lo teme, e non vorrebbe temerlo. Noi sappiamo che non possiamo permetterci nessuno di quei vizi e sprechi. E Renzi lo ha addirittura affermato, tagliandosi alle spalle in modo ostentato le vie di ritirata. Certo, ha saltato più di un capitolo e di una storia nella sua orazione a braccio, il premier in cerca di doppia fiducia: tra politici come sfidati e cittadini ormai stremati. Ed è andato per titoli e aneddoti più che per dettagli contabili. Ma ha individuato temi e banchi di prova veri e coinvolgenti, accanto e oltre il cammino della riforma elettorale e istituzionale. Una raffica di cose da fare: nuovo fisco e riduzione potente delle tasse sul lavoro, sblocco «totale» del pagamento dei debiti che lo Stato ha coi propri fornitori, trasparenza online «al centesimo» delle spese pubbliche, sburocratizzazione dell’amministrazione e della vita quotidiana di persone, famiglie e imprese, riorganizzazione della giustizia, cittadinanza a chi – nato "straniero" – impara, cresce e vive da italiano proprio come ogni altro figlio di questa terra... E infine, e per principio, una salutare insistenza sull’essenziale ruolo di futuro della scuola e sulle risorse che essa merita. Come non annotarlo sulle pagine di un giornale che è appassionatamente mobilitato su questo punto, come tutta la Chiesa italiana che si è data – e ha dato – appuntamento «per la scuola» attorno a Papa Francesco, il prossimo 10 maggio?Bisogna fare l’abitudine allo stile del nuovo premier. E sarà più facile, se alle parole seguiranno i fatti con la rivoluzionaria rapidità che, in modo persino provocatorio, è stata promessa. Altrimenti, per lui e per tutti noi, non sarà arduo trarre le conseguenze dell’impegno a «non cercare alibi» per il non-fatto o il fatto male.
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