mercoledì 6 giugno 2012
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Ci sono cifre che snocciolate fanno assai meno rumore di altre. Alle quali rischiamo di assuefarci, passando oltre, prima ancora di averle valutate a dovere. Numeri preoccupanti che non finiscono sulle prime pagine e non vengono gridati in piazza dai sindacati, ma che pesano oggi e peseranno ancor più domani sul futuro di questo Paese. Sono le cifre drammatiche della povertà infantile in Italia: 1 milione e 876mila bambini versano infatti in una condizione di povertà relativa (i tre quarti sono concentrati nel Mezzogiorno). Addirittura 359mila sono quelli in povertà assoluta, coloro cioè che non dispongono di «beni essenziali per il conseguimento di standard di vita minimamente accettabili», come sottolineava ieri il rapporto sui diritti dell’infanzia, curato dal gruppo Crc che riunisce 85 tra associazioni e organizzazioni che si occupano di minori.Numeri davvero preoccupanti per l’Italia, ma che certo non ci stupiscono. Perché sono il risultato a medio termine di decenni di disattenzione nei confronti dell’infanzia e della famiglia, di altalenante risposta alla permanente sfida della miseria. È sufficiente ricordare la ripartizione della spesa sociale nel nostro Paese in confronto a quella media europea. Da noi il 51,3% è assorbito dalle pensioni contro il 38,8% medio Ue. Per la lotta all’esclusione sociale restano le briciole: lo 0,2% contro l’1,4% Ue. Così pure per le politiche familiari: viene dedicato appena il 4,7% del totale contro l’8,3% medio in Europa. Complessivamente, l’Italia dedica solo l’1,4% del Pil alla spesa sociale, un punto in meno della media europea, la metà rispetto a Francia e Germania. Il primo intervento monetario di contrasto alla povertà – la social card – è stato varato in Italia solo nel 2008, con una copertura assai parziale (40 euro al mese!). Ma la carta, anziché essere rilanciata e rafforzata, mirandola meglio proprio sulle necessità dei minori in condizioni di povertà, è finita subito sul binario morto di una sperimentazione.Nel frattempo, la pressione fiscale sulle famiglie è costantemente aumentata negli ultimi anni, senza che vi fossero adeguati contrappesi per i nuclei con figli e per quelli monoreddito. Mentre i salari calavano in termini reali, le imposte sono costantemente aumentate. Le detrazioni per i figli a carico, invece, sono rimaste le stesse: azzerate per i redditi medi, irraggiungibili per gli incapienti. Niente fisco negativo per chi non riesce a godere degli sgravi; niente assegni familiari né detrazioni per chi può contare su entrate di poco superiori al minimo. A parità di reddito, l’ingiustizia di un medesimo trattamento per chi ha familiari a carico e chi non deve provvedere ad alcuno. Con il risultato che il rischio di entrare in povertà cresce oggi in proporzione esponenziale al numero dei figli: spingersi oltre i 3 bambini è una scommessa temeraria. E infatti il numero di figli per coppia è inchiodato al minimo di 1,4, siamo in un rigido inverno demografico.Da decenni si invoca e si attende l’avvio di una primavera, ma appena ieri il presidente Monti ha confermato che il gelo durerà ancora. Ha parlato del "fattore famiglia" come di un sistema di sgravi «incompatibile con gli impegni di spesa», perché costerebbe «tra i 17 e i 21 miliardi di euro». Ora, è giusto – come ha sottolineato lo stesso premier ricordando le recenti parole del Papa – «non fare promesse che non si possono mantenere» e tener conto della difficilissima situazione dei conti pubblici italiani. Il tempo della crescita a debito è passato per tutti. Ma l’investimento sulla famiglia è del tutto "compatibile" con l’impegno per la ripresa dell’Italia, anzi è saggio e indispensabile. Anzitutto perché l’applicazione di un "fattore" fiscale che tenga conto dei carichi familiari può essere modulabile nelle quantità e graduabile nel tempo. Ma soprattutto perché la compatibilità è sempre relativa al menù complessivo delle altre voci di spesa. È questione di priorità e di scelte strategiche.E queste spettano alla politica. Non le ha fatte ieri, cominci a farle oggi in Parlamento, sostenendo il rigoroso e faticoso sforzo del governo dei tecnici. Un cammino che non s’inizia, non finirà mai.L’impoverimento delle famiglie e l’emergenza infanzia, non possono essere derubricate a problematiche marginali. Non c’è futuro se troppi bambini di oggi versano in condizione di povertà, mancano del necessario e hanno un destino segnato. Non c’è futuro di crescita economica, di ripresa della produzione e dei consumi, se non si sceglie di ripartire finalmente dal sostegno alla famiglia.
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