Shoah (e non solo): conoscere il bene, riconoscere l'orrore
sabato 10 febbraio 2018

Gentile direttore,
scrivo in riferimento al commento «Polonia e Auschwitz. Quella tentazione di truccare le foto e riscrivere la storia» di Davide Parozzi (30 gennaio 2018) e all’intervista sullo stesso tema alla storica Anna Foa (2 febbraio 2018). Il punto di partenza per le preoccupate e amare riflessioni del suo collega di “Avvenire” e della docente all’Università la Sapienza di Roma è stato l’emendamento firmato dal Presidente della Repubblica di Polonia sull’attività dell’Istituto della Memoria Nazionale. L’emendamento prevede che «coloro che pubblicamente e contro i fatti attribuiscono alla Nazione Polacca o allo Stato Polacco la responsabilità o la corresponsabilità per crimini compiuti dal Terzo Reich tedesco oppure per crimini contro l’umanità, contro la pace nonché altri crimini durante la guerra, verranno puniti con una sanzione pecuniaria o la reclusione fino a tre anni. Una pena analoga riguarda anche i casi di tentativi evidenti di sminuire la responsabilità dei reali autori di questi crimini». Non è vero, che questo testo possa «impedire una libera ricerca storica». E non si può assolutamente affermare, come invece fa la professoressa Foa, che la Polonia ai tempi della Shoah è stata, «completamente manovrata» e che il ruolo del popolo polacco è stato «abbastanza ambiguo». Espressioni come «collaborazionismo» e «nazismo» riferite ai polacchi devono sollevare una categorica obiezione. È anche difficile essere d’accordo con l’osservazione della storica quando dice che «l’armata della resistenza polacca non intervenne» nel 1943 quando i tedeschi iniziarono le operazioni di liquidazione del ghetto di Varsavia. Invito a leggere “Conversazioni con il boia” di Kazimierz Moczarski: il boia protagonista del libro – Jurgen Stroop – parla con ammirazione di molte azioni della resistenza polacca, grazie alle quali la rivolta del ghetto poté durare così a lungo.
Qui si tratta proprio della verità storica. E il più grande scopo dell’emendamento sull’attività dell’Istituto della Memoria Nazionale è la lotta contro tutte le forme di negazione e falsificazione della verità sull’Olocausto. Accusare la nazione polacca, pubblicamente e contro i fatti, di complicità col Terzo Reich tedesco nei crimini nazisti è improprio e ferisce le vittime – cittadini della Polonia, sia di origine ebraica che polacca.
La verità è che storicamente sul territorio polacco, nel paradisus Iudaeorum, che non conosceva i pogrom, i due “mondi” per molti secoli coesistevano e si completavano a vicenda. La verità è che i polacchi per secoli hanno combattuto per la libertà, vostra e nostra. E hanno combattuto anche su tutti i fronti della Seconda guerra mondiale contro i tedeschi di Hitler e contro gli italiani di Mussolini; hanno contribuito, tra l’altro, alla liberazione dell’Italia nelle sanguinose battaglie di Montecassino, Loreto e Bologna. Ma, poi, la Polonia non riottenne la libertà. Abbandonata dagli Alleati, a Yalta, per decenni non ha potuto decidere di se stessa. Eppure i polacchi, sempre fedeli alla libertà e alla Chiesa, non sono mai stati dei giannizzeri dell’Urss ed è stata “Solidarnosc”, il sindacato nato a Danzica nel 1980, che contava 10 milioni di tesserati, a portare alla caduta del comunismo totalitario senza versamento di sangue. Dobbiamo davvero in continuazione ricordare questi fatti? Nel nostro album di ricordi esistono anche delle pagine buie, che non sono mai state nascoste, ma soprattutto ci sono fatti eroici e ritratti di migliaia di eroi.
Desta inoltre stupore che – “a margine” di Auschwitz – il suo collega Parozzi parli della «controversa» riforma della magistratura effettuata in Polonia, del tutto conforme alle norme europee, ed esprima la sua inquietudine per via della polemica che sta coinvolgendo Lech Walesa. Riguardo Walesa suggerisco di leggere i documenti dei servizi segreti degli anni 1971-1976, che si sono conservati e che sono stati pubblicati.
Sembrerebbe che l’emendamento sull’attività dell’lstituto della Memoria Nazionale sia diventato un buon pretesto per criticare la Polonia, che sta attuando ora nell’interesse dei cittadini le più importanti riforme che siano state fatte negli ultimi anni e che, senza vacillare, difende le sue radici cristiane. E per questo siamo ammirati da milioni di persone, compresi tanti italiani. Vorrei assicurare lei, l’autore e i lettori, e lo dico anche come storico del XX secolo, che non vogliamo «riscrivere la storia» né «riadattare il passato alle necessità politiche del presente», ma che la studiamo e diffondiamo in modo libero e serio.
Janusz Kotahski
Ambasciata della Repubblica di Polonia presso la Santa Sede


Caro direttore,
sono molto preoccupata, per questo vorrei condividere queste mie riflessioni con lei e con i suoi lettori: sono convinta che sia un argomento che riguardi ognuno di noi. Le celebrazioni del Giorno della Memoria sono passate, come sempre le iniziative sono state tante. Personalmente non amo i momenti in cui si parla solo di “memoria”, “senza memoria non c’è futuro” e via dicendo: bisogna spiegare bene cosa intendiamo con la parola “memoria”. È vero anche che è bene insegnare ai giovani che se un gruppo altro da loro viene vessato ingiustamente, non è bene rimanere inerti. Ma in questo caso non credo che ciò che importa sia l’empatia, anzi, questa a volte può anche produrre l’effetto opposto. I punti che ritengo sia importante sottolineare sono i seguenti:
1) il totalitarismo non mostra mai subito il suo vero volto (a meno che non si tratti di colpo di stato): fascismo e nazismo sono andati al potere attraverso libere elezioni;
2) la responsabilità di un assassinio non è solo di chi lo commette materialmente: uno sterminio in larga scala come quello degli ebrei non sarebbe mai stato possibile senza il supporto (anche il silenzio lo è) della maggior parte della popolazione;
3) bisogna sempre tenere attivo lo spirito critico e ragionare: il coinvolgimento della popolazione è stato possibile tramite un magistrale uso della propaganda (quella fascista e in particolare nazista è qualcosa di “spettacolare”);
4) bisogna avere il coraggio di opporsi all’ingiustizia: se la Shoah è accaduta, questo vuol dire che nella nostra “evoluta” civiltà europea qualcosa non ha permesso alle coscienze della maggior parte delle popolazioni di far funzionare lo spirito critico, di ribellarsi all’ingiustizia, di avere il coraggio di farlo.
Oggi è cambiato qualcosa? È stato effettuato un lavoro di assunzione di responsabilità, non per accusare qualcuno ma per capire come persone uguali a noi hanno permesso che la Shoah accadesse? Da circa 19 anni vado nelle scuole a parlare di Shoah, non come testimone, ma per contestualizzare e proporre punti di riflessione. Durante tale attività, circa 10 giorni fa sono stata in una scuola in cui parlavo del fatto, secondo me, gravissimo che con le Leggi razziste del 1938, quando all’improvviso si liberarono posti di professori, medici, avvocati, ecc., chi prese il loro posto non si chiese nulla. Ne approfittò, punto. Uno studente della scuola mi ha detto tranquillamente che anche lui avrebbe fatto lo stesso: un’insegnante ha protestato, ma nessuno ha mostrato il forte disappunto che meritava una tale affermazione.
Pochi giorni fa ad un convegno ha ribadito lo stesso concetto un professore universitario affermando che «bisogna pur sbarcare il lunario»: nessuno si è indignato, nessuno ha detto nulla.
Altro fatto che trovo estremamente preoccupante: quando sono state approvate nei vari Paesi europei leggi contro il negazionismo in tanti hanno protestato parlando di un pericoloso attacco al diritto di opinione. Probabilmente queste persone hanno dimenticato il significato delle parole: il fatto che sia accaduta la Shoah è, appunto, un fatto non un’opinione!
E arriviamo agli eventi più recenti: la legge approvata in Polonia. A tutti coloro che si occupano seriamente di comunicazione e di storia della Shoah è noto da vari anni che la Polonia, attraverso iniziative, celebrazioni, film, ecc., sta cercando di proporre una visione della storia falsata e l’approvazione di questa legge è il culmine di questa politica. Come è un fatto che i polacchi siano stati massacrati dai nazisti e che alcuni di essi abbiano salvato degli ebrei, è però un fatto anche che l’antisemitismo sia sempre stato profondamente radicato in Polonia e questo abbia portato in vari casi allo sterminio diretto degli ebrei o comunque alla collaborazione attiva con i nazisti. Si tratta di fatti. Questa legge sì che tratta di una “opinione”, di una interpretazione completamente falsata della storia. Apprezzo che sulle pagine da lei dirette questo sia stato scritto e documentato. Ma constato che pochi hanno protestato, e quasi sempre i “soliti”: gli ebrei... E allora quello che mi preoccupa tanto è il fatto che è sempre più evidente che nella nostra società manchi quasi completamente l’assunzione di responsabilità.
Se davvero la maggior parte delle persone pensa che sia normale approfittarsi delle sofferenze altrui a proprio beneficio e non si ribella a che la storia sia interpretata “per legge” falsando i fatti realmente accaduti, c’è davvero poca speranza per il futuro...
Silvia Haia Antonucci
Roma

Le lunghe lettere (che ho dovuto sintetizzare) che pubblichiamo in questa stessa pagina sono di due persone autorevoli e stimate. Un rappresentante diplomatico della Polonia, grande nazione sorella, che è anche uno studioso della storia del XX secolo e una personalità che ha fatto della cura “viva” dell’Archivio storico della Comunità ebraica romana una delle missioni della sua vita. Si tratta di due testi che ad accostarli fanno scintille, nonostante contengano anche contenuti comuni e muovano dalla stessa dichiarata preoccupazione: evitare la manipolazione della storia e della memoria. Una lezione-dimostrazione, proprio questa, di come persino retti e limpidi intenti possano condurre a esiti ambigui e rischiosi.
Qui sta il cuore della questione posta da alcune recenti scelte politiche polacche: prima di tutto la cosiddetta legge sulla Memoria (della Shoah), ma anche la riforma giudiziaria che intacca l’autonomia dei giudici e che l’Europa ha messo clamorosamente sotto processo per «violazione dello Stato di diritto» e la campagna denigratoria contro Lech Walesa, grande protagonista della rinascita della Polonia alla libertà dopo il cupo dominio sovietico, e ora bersaglio di una nuova classe dirigente polacca alla quale liberamente si oppone come si oppose al comunismo. Ascolto con rispetto l’ambasciatore Kotahski, ma gli confermo con franchezza di non essere convinto da tutte le sue argomentazioni. Proprio la verità della ricchezza di luci nella storia polacca – ben conosciuta da chi scrive su “Avvenire” e da chi lo legge – dovrebbe rendere liberi, e non far temere di considerare e indagare nella loro interezza, alla scuola di san Giovanni Paolo II, le ombre che pure ci sono e pesano. Esattamente l’atteggiamento proposto dalle osservazioni severe, ma mai sommarie, del mio ottimo collega Davide Parozzi e dai richiami di una storica raffinata e rigorosa come Anna Foa. Quest’ultima, proprio dalle nostre colonne, si è spesa più volte con lucidità e coerenza anche contro l’idea di punire con la galera i “negazionisti” della Shoah: bisogna fermarne la propaganda e constatarne l’inidoneità all’insegnamento, ha sempre spiegato la studiosa, «non farne dei martiri». In questo, come un passaggio della lettera sembra confermare, il parere di Anna Foa diverge, almeno in parte, da quello di Silvia Haia Antonucci. Come si sa sul punto sto, con convinzione anti-negazionista e per amore alla libertà responsabile, sulle posizioni di Foa. Eppure, su tutto il resto, nutro preoccupazioni analoghe a quelle della dottoressa Haia Antonucci. Ma con un po’ più di speranza nella capacità di “resistenza” di italiani ed europei. Non mi nascondo la forza delle nuove odiose arroganze totalitarie e razziste, e non sottovaluto di certo l’insidia rappresentata da ignoranze, cinismi e pavidità, ma vedo anche i buoni frutti di tante tenaci, generose e coinvolgenti “semine di memoria”. Memoria viva, documentata e, dunque, integrale, senza aggiustamenti di comodo. Non si può smettere questa fatica necessaria e buona. Ad “Avvenire” continueremo a fare la nostra parte per far conoscere il bene e riconoscere ogni orrore.


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