L'escalation sconveniente
giovedì 22 settembre 2022

Tutto molto in fretta: tra il 23 e il 27 settembre referendum sull’annessione alla Russia nelle Repubbliche di Donetsk e Lugansk e nei territori controllati dai russi delle regioni ucraine di Kherson e di Zaporizhzhia; il 28 la proclamazione dei risultati; il 29 la ratifica. In pochi giorni, quindi, il 15% dell’Ucraina dovrebbe diventare Russia, proprio mentre le truppe di Kiev attaccano senza sosta in quelle stesse porzioni di territorio con un voto esposto alle bombe che, anche prima della controffensiva ucraina, era programmato al più presto per novembre. Chiamarla un’accelerata è molto più che un eufemismo. E poiché è ovvio che l’ordine di procedere è partito da Mosca, bisogna chiedersi perché Vladimir Putin abbia sentito la necessità di muoversi in questo modo.

C’è la situazione sul campo di battaglia, certo. L’offensiva ucraina ha perso slancio ma non è conclusa, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Con l’annessione dei territori il Cremlino spera di intimidire gli ucraini, perché la dottrina militare russa prevede l’uso dell’arma atomica in caso di attacco nucleare, ma anche se il territorio della Federazione dovesse affrontare «una minaccia esistenziale», tipo un’invasione. La ragione sostanziale di questa rincorsa russa, però, va forse cercata altrove, più lontano. Su quel palcoscenico internazionale dove Putin fino a poco tempo fa pensava di aver costruito una strategia vincente, tra i tanti Paesi che, non aderendo alle sanzioni economiche anti-russe, gli avevano permesso di resistere all’assedio economico occidentale. In altre parole, a far correre Putin non sono state le azioni dei Paesi ostili, ma le pressioni dei Paesi amici o non ostili.

Lo si è visto bene a Samarcanda, durante il summit della Sco (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai), oggi arrivata ad avere 9 membri e a rappresentare il 40% della popolazione mondiale. In quei giorni abbiamo assistito a scene che poche settimane prima non avremmo nemmeno immaginato. Putin incontra Xi Jinping e dice apertamente di capire «le preoccupazioni e le domande» della Cina e di essere pronto «a spiegare la posizione della Russia». Il premier indiano Modi dice: «Questo non è tempo per la guerra». E il presidente Erdogan (la Turchia non è membro a pieno titolo della Sco, ma segue il processo per entrarvi) insiste sull’idea che bisogna sedersi a trattare con l’Ucraina.

Stiamo parlando di Paesi cui la Russia del post-24 febbraio deve molto. La Cina non si è schierata dal punto di vista militare, ma ha fornito molta della tecnologia che la Russia non poteva più comprare in Europa o negli Usa.

E comprando quantità record di gas, petrolio e carbone Pechino ha sostenuto da par suo le finanze del Cremlino. Gli scambi commerciali tra i due Paesi a fine anno valicheranno i 200 miliardi di dollari, nel 2021 erano 146 e già pareva un primato difficile da superare. L’India, pur approfittando di consistenti sconti, ha comprato petrolio russo come non mai, e proprio in coincidenza con l’invasione dell’Ucraina. Un solo dato: a febbraio pochi dollari, in marzo 210 milioni, in maggio 3,2 miliardi di dollari. Questa la progressione. La Turchia è stata finora uno dei grandi corridoi commerciali e finanziari di cui la Russia ha potuto usufruire mentre un gran numero di porte le si chiudeva in faccia.

Raddoppiate le importazioni turche di petrolio russo, aumentate del 75% le esportazioni turche in Russia e così via. La grande turbolenza globale, però, ormai danneggia tutti. E la potenza degli Usa riesce sempre a farsi sentire. L’India ha diminuito gli acquisti di petrolio in Russia dopo che il premier Modi ha ricevuto una missione diplomatica Usa di alto livello. Il sistema bancario turco, subito dopo l’ennesimo monito americano, ha smesso di accettare le carte di credito russe del sistema di pagamento Mir. E anche la Cina, che pure dichiara di essere sempre al fianco della Russia contro le «provocazioni » Usa, fa capire di non essere soddisfatta: in queste condizioni, per di più con l’Asia Centrale in subbuglio, arrivederci Nuova Via della Seta e Filo di Perle, i progetti cari al fan della globalizzazione Xi Jinping.

Quella a cui stiamo assistendo non è la rinascita dello spirito di pace e di giustizia, ovviamente. Ma piuttosto la fine della convenienza. La guerra in Ucraina ha dato il colpo di grazia a una serie di equilibri politici ed economici che erano discutibili ma che, andati in frantumi, hanno lasciato quasi solo macerie. Un caos che poteva convenire a molti per conquistare spazio e profitti (caso tipico Erdogan, e alla lunga altre vecchie e nuove potenze), purché durasse poco. Alla lunga, invece, sta sfiancando tutti, non solo l’Europa. Ecco quindi il messaggio mandato a Putin: sbrigati. Decidi. Concludi. In un modo o nell’altro, meglio se, come pensano Erdogan e Modi, con una trattativa. Putin ha ascoltato e, come dicevamo, ha accelerato. Ma al posto di lasciare, ha raddoppiato. Portandoci tutti un passo più vicini allo scontro nucleare.

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