Legalizzare la «serie B»?
sabato 6 maggio 2017

Il tema della legalizzazione della cannabis che riemerge carsicamente, di tanto in tanto, sugli organi di stampa e nel dibattito politico e parlamentare. Da sostenitore del paradigma dell’economia civile non provo simpatia per la questione.

Da economista tout court trovo totalmente errato l’argomento a favore che ipotizza un rapporto tra legalizzazione della marijuana e successo nella lotta alla criminalità. Da studioso dell’economia della felicità e degli indicatori di benessere oltre il Pil osservo che si persiste sempre nel medesimo errore di misurazione del valore del benessere quando si pensa alla legalizzazione con monopolio dello Stato per aumentare le entrate fiscali.

Provo ad argomentare su tutti e tre i punti.
L’ormai vastissima mole degli studi sulle determinanti di soddisfazione e senso di vita fa emergere chiaramente il ruolo chiave della generatività e l’ambivalenza tra beni di comfort e beni di stimolo che un economista geniale come Tibor Scitovsky aveva ben tematizzato nel suo libro, non a caso intitolato The joyless economy (L'economia senza gioia). I beni di comfort sono quei beni che producono piacere a breve ma che, in caso di abuso, indeboliscono la nostra capacità di investire con fatica per procurarci i beni di stimolo. L’abuso dei beni di comfort produce dipendenze e infelicità mentre la possibilità di godere dei beni di stimolo è una fonte di soddisfazione e di senso della vita ben più stabile e duratura. I beni di stimolo seguono una legge molto singolare. Sembrano a portata di mano ma non possono essere consumati se prima non esiste un investimento faticoso per costruire l’abilità necessaria per accedervi. Chiunque è genitore sa bene che in un mondo che rende sempre più facile e a basso costo l’accesso ai beni di comfort di ogni tipo una delle cose più difficili e più importanti da insegnare ai ragazzi è il giusto rapporto tra questi tipi di beni. Una delle pochissime narrative "laiche" che aiutano da questo punto di vista è quella dello sport praticato in modo sano dove i ragazzi imparano che un’abilità si conquista con allenamento e fatica. Lo stesso vale per tutte le abilità (professionali, spirituali, culturali) che rappresentano altrettanti beni di stimolo. Inutile negarlo ma le leggi hanno anche un ruolo educativo. È molto facile pensare che ciò che è lecito è anche buono e desiderabile ed è questo, insieme a quanto considerato sopra, il motivo per il quale un allentamento delle restrizioni sul consumo di cannabis non mi entusiasma affatto.

Il secondo argomento antiproibizionista mi pare del tutto infondato perché sottovaluta di gran lunga la capacità innovativa dell’impresa criminale il cui business è rappresentato dagli innumerevoli mercati delle attività illegali. In alcuni casi si tratta di attività del tutto illegali (il consumo di cocaina ed eroina). In altri di attività che hanno perimetri di legalità quando rispettano alcuni vincoli, o che sono del tutto legali all’interno di certi parametri ma che possono diventare illegali quando questi parametri non sono rispettati (dall’azzardo illegale all’usura e agli ecoreati).
L’esempio dell’azzardo da questo punto di vista è illuminante. La presenza dell’azzardo legale aumenta e non riduce il numero di giocatori patologici e non sembra frenare le possibilità di espansione dell’azzardo illegale perché, quando esiste un perimetro di legalità circoscritto, la criminalità sa costruirsi uno spazio illegale oltre quel perimetro dove i rischi per l’utente sono tra l’altro maggiori. È ingenuo pensare che la liberalizzazione di uno solo di questi mercati illegali diventi un vulnus decisivo per i profitti delle attività criminali che si giocano su così tanti fronti. Il vero antidoto alla criminalità sono gli anticorpi di capitale sociale e di senso civico delle comunità locali. Che sono come degli organismi dove la presenza di questi anticorpi impedisce al virus delle organizzazioni criminali di attecchire laddove mantiene livelli di vigilanza elevati.


Il terzo ragionamento non convincente è quello che cerca di portare argomenti a favore della legalizzazione con monopolio pubblico dell’offerta parlando dei benefici fiscali che ne deriverebbero. Torna alla mente il famoso discorso di Bob Kennedy con la lista di tutte le cose che contribuiscono negativamente al nostro benessere, ma fanno aumentare il Pil e tutte le virtù individuali e sociali che non entrano nella contabilità, ma sono molto importanti per soddisfazione e senso di vita. Rischiamo sempre più di cadere nella schizofrenia di società ipersalutiste che però fanno l’occhiolino alla patologia quando devono aumentare le entrate fiscali. Società che inevitabilmente puntano alla creazione di due mondi. Quello di serie A delle persone formate che non cadono in certi tranelli. E quello di serie B dei più deboli, che non hanno avuto la fortuna di avere i giusti input formativi, e la cui debolezza fa in fondo comodo perché porta risorse nelle casse pubbliche.
In una società così lo scarto è istituzionalmente previsto e programmato, e in un certo senso funzionale e utile, ma nella direzione sbagliata, quella dell’ulteriore umiliazione e sfruttamento ai fini di un beneficio economico per la società dei sani.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: