sabato 13 aprile 2013
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Non sono mai stata tra quelli che ritengono esista una contrapposizione tra fede e scienza: al contrario, penso che per chiunque, credente o non credente, sia necessario assumere un atteggiamento autenticamente scientifico di fronte alle grandi questioni poste dalla ricerca. Il caso della 'Stamina foundation' non fa eccezione, e sono assolutamente d’accordo con la linea assunta dalla comunità scientifica, che è del resto la stessa seguita dal Parlamento. Non si possono scavalcare i criteri rigorosi di garanzia previsti per le sperimentazioni cliniche sull’uomo, non si può esentare nessuno dalle verifiche e dai controlli.
Il professor Paolo Bianco, sul 'Corriere della sera' di giovedì scorso, ricorda che esiste «uno scenario internazionale in cui giocano un ruolo chiave nuovi soggetti economici, interessati a ottenere una deregolamentazione del settore». Giusto. E lancia un allarme: la magica parola 'staminali' può essere utilizzata per aprire un redditizio mercato di terapie non sicure, e non efficaci. Verissimo.
Esistono però due questioni su cui mi piacerebbe che qualche autorevole ricercatore mi rispondesse. La prima: il caso Stamina è scoppiato perché alcuni tribunali hanno autorizzato le terapie sostituendosi agli organismi competenti. La seconda: non è solo nel campo delle staminali che esistono potenti interessi economici e lobby che premono per allentare vincoli e garanzie. Da tempo in Italia alcuni magistrati vanno ben oltre i confini delle proprie competenze. È impossibile dimenticare il decreto della Corte d’Appello di Milano sul caso Englaro, in cui si dettava il protocollo per condurre Eluana alla morte per disidratazione e denutrizione. Quel documento va riletto, in tutti i suoi sconcertanti particolari (per esempio la «somministrazione di presidi atti a prevenire reazioni neuromuscolari paradosse» o «l’umidificazione frequente delle mucose»).
Poche sono state le voci di medici e scienziati che si sono levate allora. Si trattava di 'terapie' (diciamo così) mai sperimentate in Italia su un essere umano, eppure la comunità scientifica non si è ribellata, e ha taciuto. Per quanto riguarda gli interessi economici, sappiamo bene che le pressioni contro le norme sulla procreazione assistita, più che dai cittadini (che hanno scelto di non modificare la legge 40 quando ne hanno avuto l’occasione, con il referendum) provengono da soggetti che vorrebbero aumentare il proprio giro d’affari e i profitti. In altri Paesi esiste ormai un fiorente mercato di gameti umani, soprattutto ovociti, e di uteri in affitto, con un pesante sfruttamento delle donne giovani e povere. È da queste premesse che è cominciata la deriva che oggi inquieta giustamente il professor Bianco e il mondo della scienza medica. Perché solo adesso che i ricercatori sono toccati più direttamente alzano la voce?
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