domenica 8 febbraio 2009
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Ma lasciare morire di sete e di fame u­na malata, è costituzionale? È una domanda semplice quella che si affaccia ai pensieri, in queste ore di scontro fra pote­ri istituzionali, e mentre a Udine si proce­de con il 'protocollo' – termine squisita­mente tecnico ad indicare la morte data a Eluana. È una domanda elementare quel­la che aleggia sull’incrociarsi di dichiara­zioni di onorevoli e giuristi e ministri. «Non è intervenuto alcun fatto nuovo che possa configurarsi come caso straordinario di ne­cessità e urgenza ai sensi dell’articolo 77 della Costituzione» si legge nella motiva­zione del 'no' al decreto legge fornita pre­ventivamente dal capo dello Stato. E qui molti – certo digiuni di diritto, e con scar­sa dimestichezza con i regolamenti – non capiscono. Non c’è necessità e urgenza? Ma quella donna sta andando alla morte; e la sua fine riguarda tutti noi; concerne il modo in cui, dopo Eluana, si guarderà ai malati senza coscienza, agli handicappati inguaribili, a quelli che vengono conside­rati «irrecuperabili» a salute ed efficienza. Ci si sente, davanti a certe spiegazioni, qua­si come Renzo Tramaglino quando Azzec­cagarbugli gli legge una grida spagnola, che pare fatta su misura per lui. E invece, affatto: «A saper ben maneggiare le grida, nessuno è reo e nessuno è innocente», fa dire con un sorriso amaro Manzoni al suo leguleio secentesco. Le ragioni dell’affermata incostituziona­lità del decreto filano con apparente sciol­tezza. Alla fine però il risultato è che, in os­servanza di una sentenza, nemmeno di u­na legge, Eluana deve morire. E dunque il massimo del diritto, passato per almeno dieci aule fra tribunali e Corti d’appello e Cassazione, per una marea infinita di car­te, si risolve nella più assoluta delle ingiu­stizie: una morte atroce data a una donna che mai fondatamente l’ha chiesta. (Se in­vece che di vita si fosse parlato di disposi­zioni patrimoniali, sospettiamo che i giu­dici non avrebbero dato facilmente per ac­quisita quella presunta volontà di Eluana). Summum ius, summa iniuria, dicevano gli antichi, che già s’erano accorti dell’a­gile duttilità della legge e della sua inter­pretazione, concetto ripetuto ieri, non a caso, dal Cardinale Vicario. Tutto in ordi­ne quanto alla forma, e niente a posto in­vece in quella clinica. Il governo ha rac­colto la domanda di quelli che guardano con sospetto a tanta nobile giurispruden­za, se poi serve a lasciare che una donna impotente venga fatta morire. «Vulnus i­stituzionale », «derive autoritarie», le ac­cuse volano. E sembra che il dramma di U­dine sia secondario, in una politica che o­stinatamente riferisce ogni fatto a se stes­sa, e dimentica che il suo vero fine è la po­lis, cioè la vita dell’uomo. La legge, già. Sia nella Dichiarazione uni­versale dei diritti dell’uomo sia nella Car­ta dei diritti fondamentali della Ue si af­ferma, nei primissimi articoli, il «diritto al­la vita». La Costituzione italiana parla di «diritti inviolabili». E dunque non è così strano se molti guardano attoniti a tanto di­ritto sapientemente sciorinato, il cui risul­tato è che una donna che respira autono­mamente, e ha bisogno solo di acqua e di cibo, venga uccisa. Sarà, questa morte, costituzionale? Se dav­vero lo fosse, ci sarebbe da avere paura di un tale Stato di diritto. Ma non può esse­re; tra una sentenza e l’altra, delle tante che hanno giudicato il caso Englaro, che qual­cosa si è inceppato, il favor vitae obliato. Il dramma di Eluana ha trovato un’abile re­gia «politica», e forse anche un favor mor­tis avanzante nella società ha conquistato i magistrati. (Dal 1999 al 2006 tutti i ricor­si di Beppino Englaro erano stati respinti come inammissibili. Solo dal 2006 la pre­tesa di Englaro di fare morire la figlia è sta­ta presa in considerazione, e anzi quello alla morte è diventato un «diritto»). E ora, obbedendo a una sentenza, Eluana deve morire. Se è così, tutta la trama del no­stro raffinato ordinamento giuridico ha un buco come una voragine: ci si dimentica che il centro è l’uomo, e che il primo dei diritti è vivere. A Udine, il 'protocollo' va avanti.
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