La via del lavoro giusto Passa ancora dal Policoro
sabato 5 giugno 2021

Quando nei campi abbandonati all'aridità videro arrivare i vomeri al posto delle doppiette, molti pensarono che quei ragazzi erano nient’altro che degli illusi. Sognavano di sconfiggere il miraggio del posto fisso, il ricatto della raccomandazione e i baciamano ai mammasantissima che promettevano di non lasciare indietro "gli amici degli amici". E speravano di farlo guidati dal Vangelo.
Anni dopo hanno ritrovato le risposte nella Laudato si’ di papa Francesco che ieri, incontrandoli, ha ricordato che occorre «dare un’anima all’economia, perché siamo consapevoli che ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie».

Erano proprio questi gli auspici del Progetto Policoro, annunciato nell’Italia del 1995. Un Paese che non era privo di delusioni e di fermenti. C’era stata Mani Pulite, c’erano state le stragi di mafia, e c’era stato, non a caso a Palermo, il Convegno ecclesiale nazionale, in cui nacque ufficialmente la nuova iniziativa della Cei, «che tenta di dare – si legge ancora oggi – una risposta concreta al problema della disoccupazione in Italia». Innescando una cultura della relazione e della comunità che possa offrire altrettanto concreti modelli di sviluppo improntati alla giustizia.

L’attualità del Policoro e la necessità del Progetto sono spiegate anche nelle recenti analisi economiche. Alla vigilia della pandemia diversi osservatori scrivevano che nel nostro Paese il Pil reale, vale a dire scorporando l’inflazione, si è riportato ai livelli del 1995. Anche quell’anno le sfide sembravano impossibili.

La disoccupazione giovanile in molte province del Sud superava il 60% della forza lavoro disponibile. Lì dove venivano costituite cooperative di giovani, centri di formazione, lì dove le terre tornavano a essere coltivate da chi non avrebbe avuto altra alternativa che una valigia e un biglietto di sola andata per un qualche altrove, c’erano parroci e ragazzi e ragazze che immaginavano il lavoro non solo come opportunità per un salario. Ma come modo per riappropriarsi dei territori, del futuro, insistendo con una costante opera di animazione sociale.

Dovevano vedersela con i fantasmi che in in quei luoghi ancora si aggiravano, razziando risorse e depredando le aspirazioni. A quel tempo, spadroneggiavano capibastone come Giovanni Brusca, Pietro Aglieri, Bernardo Provenzano, Antonino Giuffré, Matteo Messina Denaro (ancora latitante). "Libera" era stata fondata da don Luigi Ciotti solo pochi mesi prima del Progetto Policoro, nato grazie al compianto don Mario Operti, storico direttore dell’Ufficio Cei per i problemi sociali e il lavoro.

Un prete «mosso da uno stesso bisogno di liberare speranze – ricorda don Ciotti in un recente libro –, di ridare dignità e lavoro ai fragili e agli esclusi, costruire insomma giustizia sociale». Per questo il Policoro e Libera camminano spesso insieme. E sono arrivati lontano, da Noto a Torino, tra sviluppo e anche progetti di integrazione dei lavoratori migranti.

Non era facile nell’Italia del ’95, non lo è neanche adesso. I rubinetti delle banche sono sempre stati difficili da aprire. E non solo per questa ragione è nato il "Microcredito", che in meno di due anni ha erogato oltre 600mila euro in 33 diocesi, puntellando iniziative che altrimenti sarebbero rimaste nel cassetto dei buoni propositi. Da ieri nella bussola del Policoro si sono aggiunti altri quattro punti cardinali. Li ha indicati il Papa : animare, abitare, appassionarsi e accompagnare. Specialmente adesso, quando l’agognata "riapertura" del dopo pandemia mostrerà contraddizioni e macerie. La presenza nei territori, per Francesco, «diventa così il segno di una Chiesa che sa prendere per mano».

Perché «la condivisione, la fraternità, la gratuità e la sostenibilità sono i pilastri su cui fondare un’economia diversa – ha ribadito il Papa –. È un sogno che richiede audacia, infatti sono gli audaci a cambiare il mondo e renderlo migliore. Non è volontarismo: è fede, perché la vera novità proviene sempre dalle mani di Dio».

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