venerdì 21 febbraio 2020
Dall’antico Egitto alla Rivoluzione francese, dai Maya fino alla Siria o il Sahel di oggi Basta un’oscillazione di 1 o 2 gradi per determinare tensioni o la fine di civiltà
La storia dell'umanità insegna a temere il clima che cambia

Ansa

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C’è un bambino che scappa alla presa ferrea della mamma e finisce improvvisamente in strada. La madre grida, disperata. Un piccolo veicolo è sulla traiettoria del bimbo, distante poco più di un metro: lo aggira con grande facilità, senza rallentare. Sono macchine a guida autonoma, completamente elettriche. La madre del bimbo, sorridente, tira un sospiro di sollievo. Mai respirata un’aria più pulita. 'Traffico' e 'smog'? Parole che non si usano da anni. Il verde ha preso il posto del cemento in molte città: in altre, la qualità della vita è drammaticamente crollata a causa degli effetti dei cambi climatici. Però oggi tutti sanno che i parchi dovrebbero essere più numerosi delle rotonde stradali. Certo, esistono ancora povertà, solitudine, ingiustizia: ma la società globale ha ritrovato fiducia nella ricerca di un sentiero di sviluppo comune.

Eppure questo presente sembrava un futuro assolutamente improbabile trent’anni fa, nel 2019. Proprio allora gli scienziati provarono che l’innalzamento delle temperature era assolutamente innaturale rispetto a quanto registrato negli ultimi duemila anni. Nel 2019 era fallita l’ultima conferenza internazionale sull’ambiente, la Cop 25 di Madrid, nonostante il luglio di quell’anno fosse stato il più caldo mai registrato negli ultimi due secoli. La cosiddetta 'coalizione fossile' (Usa, Canada, Australia, Brasile, responsabili del 50% dell’anidride carbonica globale) non voleva modificare le proprie abitudini economiche per abbattere le emissioni. Poi, in qualche anno, il cambio: progressivo, inarrestabile. Prima i giovani, poi gente d’ogni età riempì le piazze di manifestazioni; governi e imprese agirono, ricordando che la Storia ci aveva già mostrato come i cambi climatici avessero distrutto intere civiltà incapaci di cambiare sé stesse per sopravvivere. E come queste alterazioni climatiche potessero invece diventare un’opportunità di miglioramento sociale.


Gli studiosi di paleoclimatologia aiutano a capire come la variazione delle condizioni climatiche in determinate aree del mondo sia stata molto spesso una concausa di stravolgimenti importanti Il fatto che oggi il «climatechange » sia dovuto all’azione umana dovrebbe spingere ad azioni più convinte

Ecco, quello appena descritto è un futuro possibile: un’alternativa reale. Torniamo al presente, ad oggi dove la scelta è semplice: usare le opzioni tecnologiche e contribuire con azioni individuali a rendere il mondo migliore. Oppure lasciare che la nostra inazione renda il pianeta un deserto inospitale per la nostra specie. Non è pessimismo, ma pura storiografia: è quanto ci racconta l’Olocene sulla scomparsa (o la fioritura) di moltissime civiltà del passato lontano e recente. L’evoluzione umana comprende gli ultimi diecimila anni: in questo periodo, chiamato Olocene, la temperatura del globo ha oscillato tra 1 o 2 gradi sopra o al di sotto del- la temperatura attuale. Oggi, siamo pronti ad accettare il surriscaldamento della temperatura fino a 2 gradi in più rispetto agli attuali entro il 2100 (obiettivo degli Accordi di Parigi): se non si farà nulla, l’innalzamento del termometro globale potrebbe superare i 4 gradi (e c’è chi parla di 5). Questo balzo non è naturale, come testimoniano il 97% degli articoli scientifici in materia: è dovuto all’impatto dell’industrializzazione umana, dal XIX secolo in avanti e soprattutto dal 1950 in poi. Per questo l’era attuale è chiamata 'Antropocene' (dal greco antropos, uomo): la nostra specie ha alterato la temperatura in modo inedito rispetto agli ultimi diecimila anni. E quando durante l’Olocene il termometro globale si è spostato di appena 1 o 2 gradi, le conseguenze sono state storiche, rivoluzionarie.

«Se non hanno più pane, che mangino brioches». Questa frase attribuita alla regina Maria Antonietta (erroneamente), all’alba della Rivoluzione francese, riassume il legame tra alcune grandi crisi sociali dell’umanità e i cambiamenti climatici. Tra il 1770 e il 1790, l’Europa fu colpita da gravi carestie causate da motivi climatici. Infatti, tra il XVII e il XIX secolo il pianeta fu investito dalla Piccola Età glaciale, il periodo più freddo del millennio scorso. Inoltre, la gigantesca eruzione del vulcano islandese Laki (1783-1784) abbassò di un ulteriore grado la temperatura terrestre. Data la scarsità di cibo, nel 1785 la monarchia francese chiese aiuto all’Inghilterra che in cambio introdusse diverse merci in Francia, indebolendo l’economia nazionale. Tre anni dopo, u- na enorme tempesta di grandine devastò le regioni intorno Parigi e a dicembre del 1788 fu registrato uno degli inverni più freddi dell’intero millennio. Sette mesi più tardi, nel giorno del picco del prezzo dei cereali nella capitale francese, il popolo francese assaltò la prigione della Bastiglia.

Oltre duecento anni dopo, all’inizio del 2011, le 'rivolte del pane' sono state l’innesco principale della cosiddetta 'primavera araba': un’ondata di sommosse popolari che ha interessato molti paesi tra cui la Tunisia, l’Algeria, la Libia, l’Egitto, la Siria, lo Yemen, la Giordania, il Mali e l’Iraq. Il prezzo dei cereali era schizzato a livello globale, e al centro del problema del pane c’era la siccità: a causa del surriscaldamento globale, le risorse idriche in Africa e Medio Oriente sono sempre più scarse. Basti pensare che la Siria negli ultimi 7 anni ha conosciuto la più grave siccità dagli albori della civiltà neolitica. Ma le rivolte del presente sono sorelle delle rivoluzioni del passato, figlie entrambe degli sconvolgimenti climatici che hanno interessato il Pianeta.

Oggi la paleoclimatologia (la ricostruzione del clima globale del passato) si legge insieme alla storia per dare nuova luce alla fine di alcune grandi civiltà antiche. Tanto per darne un esempio, il drastico abbassamento delle temperature alla fine del- l’Età del Bronzo (circa 800 a.C.) aprì le porte all’Età del Ferro. Spiega lo storico Wolfang Behringer: «Nelle società tradizionali, le turbolenze climatiche e le carestie mettono in forse la legittimazione del potere. Le istituzioni responsabili potevano reagire al peggioramento delle condizioni di vita soltanto all’interno dei loro parametri culturali. Se i mezzi che dispiegano per contrastare la crisi non bastano, allora accanto alla crisi economica e sociale può intervenire una crisi religiosa e politica, che in casi estremi porta all’abbattimento di un regime o al collasso di una civiltà». È il caso dell’Antico Egitto, il grande impero nato intorno al 3100 a.C. che giunse al tramonto nel 332 a.C. con l’arrivo di Alessandro Magno. Come è noto, la grande civiltà nacque grazie al Nilo e al limo che se ne traeva per le coltivazioni agricole. Secondo i ricercatori dell’Università di Yale, una serie di esplosioni vulcaniche in Islanda e Alaska lungo 2500 anni di storia hanno ridotto ciclicamente il livello delle inondazioni estive essenziali per l’agricoltura egiziana. E questo ha causato crescenti disordini sociali che hanno progressivamente minato l’antico impero.

Come oggi in Siria o nella zona del Sahel, la siccità è stato uno dei grandi problemi climatici che ha segnato il destino di molte tra le più note civiltà del passato. Ad esempio, la nascita e il declino della civiltà mesopotamica furono strettamente legati a eventi climatici estremi, in particolare la forte siccità del cosiddetto Periodo boreale. Cause dirette dei cambi climatici hanno provocato la fine degli Anasazi, popolo nativo del Nord America, che ha dominato un territorio enorme tra Stati Uniti e Messico tra il 600 e il 1300. La siccità causata dal riscaldamento globale di quell’età storica del pianeta (chiamata 'Interglaciale del Basso Medioevo') spinse gli Anasazi ad emigrare verso terre migliori: ma il tragitto alla ricerca di nuove speranze divenne infernale a causa della scarsità d’acqua. Un destino simile a quanto sarebbe successo ai Maya, vittime delle grandi siccità in quella stessa era, la cui civiltà collasso intorno al nono secolo d.C. E pensare che crescita e scomparsa di queste società sono state condizionate da oscillazioni di 1 o 2 gradi: per questo, il passato suggerisce che portare avanti gli Accordi di Parigi è una priorità assoluta per tutelare il nostro futuro.


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