sabato 12 settembre 2009
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Il nuovo anno scolastico si apre all’insegna della schizofrenia: da un parte gli annunci trionfalistici del ministro, che sottolinea i successi della sua gestione, dall’altro il catastrofismo delle opposizioni e l’esasperazione dei precari, che presentano un’immagine simmetricamente opposta della situazione. In questo gioco è difficile per l’opinione pubblica orientarsi e capire cosa stia accadendo davvero nella nostra scuola.I problemi ci sono. E non è stata certo la Gelmini a crearli. C’erano anche prima, e chiunque abbia un po’ di familiarità con essi si rende conto che nessun governo sarebbe in grado di risolverli con un colpo di bacchetta magica. Il torto di quello attuale è paradossalmente di averli affrontati, e nell’attuale situazione di crisi questo ha comportato non un maggiore investimento di risorse sull’istruzione, ma una riduzione di quelle, già insufficienti, che c’erano. E se ha ragione, per esempio, il ministro quando dice che il problema dei precari è nato da politiche errate del passato, non hanno torto i suoi contestatori a sottolineare che i recenti tagli stanno rendendo più drammatica la situazione. Lo scontro si riproduce anche sul tempo pieno. La Gelmini annuncia che quest’anno ci sarà un 8% di bambini in più che si fermeranno a scuola di pomeriggio. È un reale passo avanti, di fronte al quale appare riduttiva la svalutazione che viene dall’opposizione, secondo cui si tratta di un accrescimento irrisorio. Seria appare, se mai, la critica mossa dal predecessore della Gelmini, l’ex ministro Fioroni, che denunzia lo snaturamento qualitativo del tempo pieno – originariamente concepito come un impegno omogeneo spalmato sull’intero arco della giornata scolastica, mattina e pomeriggio – e la sua riduzione a un mero doposcuola, in cui il lavoro vero si fa solo di mattina e il pomeriggio si cerca di intrattenere gli alunni.Ma perché di queste cose non si può parlare più pacatamente, senza volere a tutti i costi oscurare la parte di verità che non fa comodo, cercando di aiutare la gente a capire cosa deve aspettarsi dalla scuola di domani? Sarebbe l’occasione per mettere in evidenza altri problemi immensi, su cui si riflette pochissimo, com’è quello dell’aumento esponenziale degli alunni stranieri nelle nostre scuole, soprattutto al Nord, col rischio, che già in più di un caso si sta realizzando, di una loro ghettizzazione in alcuni istituti o in alcune classi, da cui i genitori italiani ritirano i propri figli. Non sarebbe meglio affrontare con decisione la questione, se si vuole evitare che gli slogan sull’integrazione servano solo a coprire il suo progressivo fallimento proprio nella fase formativa, la più delicata e la più gravida di futuro?Forse, in questo inizio d’anno, il vero messaggio educativo che si dovrebbe far pervenire ai ragazzi sarebbe l’adozione di uno stile diverso, in cui non si giochi a nascondino con la verità delle cose e dalle opposte parti si riconosca onestamente di non possedere tutte le ragioni. Il ministro darebbe una bella testimonianza ai giovani ammettendo che i suoi sforzi, senza dubbio meritori – per esempio il maggiore rigore richiesto alla scuola sul piano dello studio e della correttezza dei comportamenti – non sono ancora sufficienti a cambiare radicalmente le cose. Quanti la criticano, a loro volta, darebbero un esempio di onestà intellettuale riconoscendo quegli sforzi, invece di demonizzarli sistematicamente, e dando un contributo critico ma costruttivo. La verità è che la scuola vive una fase di transizione per cui è difficile immaginare soluzioni radicali e definitive. Riconoscerlo – invece di parlare continuamente di «svolte epocali» o, all’opposto, di «scelte disastrose» – sarebbe un atto di umiltà che renderebbe la Gelmini e i suoi oppositori più credibili. Da entrambe le parti si darebbe ai giovani un esempio di stile democratico, di cui hanno oggi più che mai bisogno. È questo il nostro augurio per l’anno che comincia.
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