mercoledì 21 febbraio 2024
La regione settentrionale della Gran Bretagna ha ora un Parlamento autonomo. Nel 2014 la secessione fu bocciata. Ma ora vuole riprovarci
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Avrà anche un palazzo stile rinascimentale, nel cuore di Edimburgo, e i 200 chilometri quadrati della residenza di Balmoral, montagne, foreste, valli, laghi, un meraviglioso ecosistema dove morì, quasi due anni fa, la mamma Elisabetta, ma, quando arriva in Scozia, suo figlio re Carlo III perde importanti prerogative regali. Attraversate le fortificazioni romane del Vallo di Adriano, oltre cento chilometri di fortini e mura, a sei ore di auto a nord di Londra, con i quali i Romani cercarono di proteggere la conquistata Britannia dalle tribù degli Scoti, il re non è più Supremo Governatore della Chiesa di Inghilterra, fondata dal suo antenato Enrico VIII, ma un “semplice presbiteriano”.

Passato quel confine tra Inghilterra e Scozia, cambia la confessione cristiana maggioritaria. Non più l’anglicana “Chiesa di Inghilterra”, ma la “Chiesa di Scozia”. Diversi la legge, il sistema sanitario e di welfare, il cibo, lo sport, l’istruzione. Gli scozzesi hanno persino una loro bevanda nazionale, oltre allo whisky, quella “irn bru”, bevanda gasata analcolica ricca di ferro, zucchero e caffeina. Siamo in un altro Paese, con una storia differente della quale gli abitanti, più socievoli, calorosi e diretti, rispetto agli inglesi, vanno molto orgogliosi. I discendenti di William Wallace, il Braveheart interpretato da Mel Gibson nel film omonimo, l’eroe che, nel 1297, sconfisse gli inglesi alla battaglia di Stirling, sono meno numerosi, circa cinque milioni e mezzo contro i quasi 56 milioni che abitano l’Inghilterra. Ma, nei secoli, hanno saputo tenere testa ai loro vicini, difendendo la loro terra e preservando la loro indipendenza.

La monarchia non è molto gradita da queste parti. Sì, la famiglia reale ama molto la Scozia e cerca di accattivarsi gli scozzesi come può, perfino decidendo che la Regina Elisabetta II dovesse morire a Balmoral, ma re e regine sono molto meno popolari a Edimburgo rispetto a Londra. Quell’unione tra Inghilterra e Scozia che si chiama, oggi, Regno Unito o, anche, Gran Bretagna, è stata, infatti, un incidente della storia. Elisabetta I, alla quale si deve un’Inghilterra forte e indipendente, non ebbe figli e toccò al suo erede, il re scozzese Giacomo VI, tentare di avviare quell’alleanza tra i due Paesi che, nei secoli, è sempre stata ricca di tensioni. Dal 1603, quando re Giacomo ereditò, oltre al trono inglese e scozzese anche quello irlandese, formando un’“unione personale” di tre regni, al 1706, ci volle oltre un secolo prima che il “Trattato dell’Unione” venisse concordato tra i parlamentari inglesi e scozzesi.

E un altro secolo fu necessario, fino al 1801, prima che nascesse quel “Regno Unito” che è l’espressione più corretta e più usata, oggi, in Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del nord per indicare quel Paese che gli italiani chiamano spesso, sbagliando, “Inghilterra”. Oltre quel vallo di Adriano, che trasforma re Carlo, da capo della “Chiesa d’Inghilterra”, in semplice fedele presbiteriano è inaccettabile, infatti, parlare di “Inghilterra” per indicare la Scozia. Gli scozzesi, orgogliosi della loro identità, diversa e contrapposta a quella dei loro vicini, ne sarebbero inorriditi. Quando parlano di “nazione”, gli abitanti di Edimburgo, Glasgow, Aberdeen e di tutto il territorio a nord del vallo dell’imperatore indicano soltanto la loro terra, la parte nord della Gran Bretagna. Con questo termine, rigorosamente geografico, si intende quell’isola, separata dalla Francia dal canale della Manica, che comprende, oltre a Inghilterra e Scozia, anche il Galles. Mentre con “Regno Unito” si definisce un’entità politica che comprende anche l’Irlanda del nord. Il territorio scozzese, insomma, rappresenta soltanto un terzo del Regno Unito, con anche 790 isole, 77.910 chilometri quadrati, e quasi 10.000 chilometri di coste.

La storia della Scozia è una storia di indipendenza dalla sua vicina Inghilterra e non è un caso che, anche oggi, l’idea di uno stacco definitivo e completo per diventare una nazione autonoma sia ancora al centro del dibattito politico. Nei secoli, tuttavia, l’idea di uno Stato unitario, quell’Unione partita nel 1706, ha messo radici nella mente e nel cuore degli scozzesi. Tanto che, oggi, i discendenti di Braveheart sono divisi a metà tra chi vuole rimanere nel Regno Unito e chi chiede l’indipendenza. Né il referendum del 2014 sulla questione - il primo e l’unico, fino ad oggi, nel quale il “No” al distacco vinse con oltre 2 milioni di voti, il 55,3% degli elettori, contro oltre 1.600.000, il 44,7%, che dissero sì - ha messo la parola fine alla discussione.

«L’Unione è un assetto costituzionale molto confuso perché, di solito, due Paesi che mantengono due sistemi legali diversi formano una federazione. Nel nostro caso non è successo, e questo pasticcio, tipicamente britannico, consente agli indipendentisti di premere per avere potere a Edimburgo e agli inglesi e a chi li sostiene di fare il tifo per Londra», spiega il professor Michael Keating, professore emerito di Scienza politica alle università di Aberdeen e di Edimburgo. «Anche la devoluzione del premier Tony Blair che, nel 1999, garantì un Parlamento autonomo a Edimburgo, è piena di ambiguità, perché non è chiaro se si tratti di un vero sistema federale oppure se significhi che Westminster presta ad Edimburgo potere di legiferare, ma che questo potere può essere fatto rientrare in qualunque momento».

Ed è proprio quello che sta succedendo ora, quando a Londra c’è un governo conservatore, accentratore e antieuropeista, mentre a Edimburgo comanda il partito socialista e nazionalista Scottish National Party, pro-Europa e pro-indipendenza. E Brexit, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, consumatasi, nel 2016, con un referendum che ha visto la maggioranza dei britannici votare per il “Leave”, ha soltanto alimentato la causa dell’indipendenza, danneggiando l’Unione. Perché, due anni dopo aver votato per rimanere nel Regno Unito, la maggioranza di scozzesi, il 62% contro il 38%, avrebbe voluto restare in Europa. Il fatto che l’Unione, non certo europea, alla quale appartengono da oltre trecento anni, abbia fatto una scelta diversa ha alimentato le file di coloro che vogliono Edimburgo, anziché Londra, come capitale del proprio Paese.

«Nel 2019, i sondaggi hanno registrato un aumento nel sostegno per la causa dell’indipendenza tra chi ha votato Remain», dice il professor John Curtice, politologo all’università di Strathclyde e vero guru dei risultati di elezioni e referendum. «Tra gli scozzesi che sono per rientrare nella Ue, il 60% sono anche a favore della rottura dell’Unione, avviata nel 1706, mentre soltanto il 30% di coloro che sostengono Brexit vogliono anche l’indipendenza scozzese. Insomma, quel voto del 2016, che ha portato il Regno Unito fuori dalla Ue sta indebolendo l’alleanza tra Inghilterra e Scozia».

E come si pone, in questo inizio di 2024, la questione dell’indipendenza scozzese? «Completamente cambiata, perché chiedere agli abitanti a nord del vallo di Adriano se vogliono essere indipendenti da Londra, oggi, significa domandare se la Scozia starebbe meglio come parte del Regno Unito, al di fuori della Ue, o come pieno membro della Ue, ma non più parte dell’Unione con l’Inghilterra», afferma deciso Curtice.

Ed esiste la possibilità di un secondo referendum? «Alle prossime elezioni generali che saranno, quest’anno, a maggio o a ottobre, il Partito laburista di Keir Starmer ruberà molti seggi a quello nazionalista dello Scottish National Party, danneggiato dagli scandali di corruzione, che hanno portato all’arresto dell’ex leader Nicola Sturgeon per cattiva gestione di fondi dati al partito dagli attivisti. A votare Labour saranno anche gli europeisti contrari alla Brexit, che vogliono liberarsi di un governo conservatore responsabile per l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue», argomenta Alan Bairner, politologo scozzese, docente alla Loughborough University. «Per il momento il partito laburista non si impegna ad indire un secon do referendum sull’indipendenza, dopo quello del 2014. Nel lungo periodo, però, potrebbe doverlo fare se vuole evitare che gli scozzesi ricomincino a votare Scottish National Party. I sondaggi, in questo momento, confermano che, almeno la metà dei discendenti di Braveheart vogliono una Scozia indipendente in grado di decidere del proprio destino. A favore sono soprattutto i giovani. La democrazia fa il tifo per una Edimburgo nuova capitale proprio come nel 1500 prima che si formasse l’Unione». Per re Carlo la Scozia potrebbe essere sempre meno ospitale...

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