Basta dumping eco-sociale
martedì 23 gennaio 2018

Il nuovo Rapporto Oxfam presentato ieri a Davos calcola che una tassa globale sull’1,5% della ricchezza dei miliardari potrebbe pagare la scuola di ogni bambino sulla faccia della terra. Viviamo dunque in un mondo ricchissimo, con opportunità enormi, ma dove diseguaglianze profondissime e livelli di povertà assoluta inaccettabilmente elevati sono alla radice di gran parte delle tensioni sociali.

Il Rapporto non dà solo i numeri del problema, ma presenta una lucida analisi delle cause e articolate proposte di soluzione. Alla radice delle diseguaglianze c’è «l’ottimizzazione dei costi» nei processi di delocalizzazione della produzione di beni (e servizi) che in una logica di massimo profitto significa corsa verso il basso sui diritti del lavoro nelle filiere del valore. Questo processo è favorito ed alimentato da un modello di finanza governato dalla ricerca del massimo valore degli azionisti, dove gli stessi dominano sugli altri portatori d’interesse. Completa il quadro l’elusione fiscale che consiste nello spostare i profitti lontano da dove il valore è prodotto e che impedisce lo "sgocciolamento" della ricchezza verso il basso.

Una delle parti più interessanti del Rapporto è l’approfondimento sul settore tessile che ci consente di fotografare con ancora maggior precisione il problema. La corsa al ribasso e l’ottimizzazione dei costi, nella spasmodica ricerca di chi è più povero e disposto a lavorare in condizioni peggiori fa sì che, in India il 50% e in Cambogia e Indonesia (per citare i Paesi con i dati più eclatanti) più di un quarto dei lavoratori del settore siano sotto il salario minimo legale. Ma, a sua volta, il salario minimo in Cina, India, Sri Lanka e Indonesia è fino a 4 volte inferiore al salario che consente una sopravvivenza decente. In un mondo globale questo non è affatto soltanto un problema di quei Paesi perché questi lavoratori sono la formidabile concorrenza a basso costo ai nostri. Per poter reggere il confronto i lavoratori meno specializzati nei nostri Paesi sono pertanto costretti ad accettare condizioni di lavoro via via peggiori. E infatti, i dati del Rapporto sottolineano come nei Paesi ad alto reddito la produttività sia salita da inizio secolo a oggi di circa il 20%, ma il livello dei salari solo del 10%.

Mettendo in concorrenza lavoratori dei diversi Paesi, il capitale (beninteso la cosa riguarda anche noi, se siamo proprietari di azioni) riesce ad aumentare il suo potere contrattuale e ad appropriarsi di pezzi sempre più grandi della fetta di valore creato. La quota dei salari sul Pil (la fetta del lavoro) nei Paesi ad alto reddito scende infatti mediamente dal 10 al 6% per i lavoratori a bassa qualifica, dal 31 al 27% per i lavoratori a media qualifica e sale invece dal 20 al 24% per le superstar e i lavoratori ad alta qualifica (quelli che sono meno facilmente sostituibili e come tali hanno potere contrattuale verso i loro datori di lavoro).

Sono questi i veri problemi alla radice dei malumori di gran parte degli elettori italiani, non i vaccini o l’euro. E questi dati ci fanno capire che chi protesta ha, spesso, anche meno strumenti per poter capire la complessità del fenomeno ed è più facilmente preda di miraggi populisti. La risposta al problema esiste, e a metterla in atto è nell’interesse di tutte le forze politiche. Si chiama contrasto al dumping sociale ed ambientale ed è qualcosa che riguarda direttamente la vita tutti i lavoratori, sia quelli dei Paesi poveri sia quelli dei Paesi ad alto reddito. Tutti i prodotti realizzati in filiere dove gli standard di lavoro sono sotto la decenza o il minimo legale devono pagare imposte sui consumi molto più elevate in modo da scoraggiare il fenomeno. Con la riforma dell’Iva europea prossima ventura l’Europa, se non vuole essere travolta dai populismi, dovrebbe finalmente decidere di rimodulare le aliquote penalizzando le filiere al di sotto di standard minimi in modo tale da evitare che il suo tratto distintivo (la dignità del lavoro), diventi nella concorrenza al ribasso globale un impaccio e un ostacolo alla competitività.

Il Rapporto indica una serie articolata di altre soluzioni, tra le quali spiccano il contrasto ai paradisi fiscali, la promozione dei diritti sindacali nei Paesi poveri ed emergenti, la progressività fiscale, percorsi di ibridazione delle imprese dove la logica del massimo profitto viene attenuata dall’obiettivo della responsabilità sociale.

Dal punto di vista delle politiche pubbliche l’enfasi è sulle spese sanitarie e per l’istruzione. Salute e accesso all’istruzione e al credito sono fondamentali per le pari opportunità, ovvero per evitare che il risultato della vita non dipenda dalle condizioni di partenza (più o meno svantaggiate). Se la redistribuzione del reddito attraverso la progressività fiscale viene utilizzata per rinforzare l’investimento in questi due ambiti, sottolinea il Rapporto Oxfam, la redistribuzione alimenta la pre-distribuzione ovvero crea le premesse per le pari opportunità e per una futura minore diseguaglianza.

È altresì evidente che tutto ciò che facciamo per premiare innovazione e sviluppare talenti è di per sé una risposta al problema, perché il lavoro che si qualifica si trasforma da vittima a protagonista. Ma è altrettanto vero a livello politico che non basta creare sistemi sociali capaci di premiare innovazione e talento. Bisogna anche costruire società decenti per chi è meno qualificato e resta indietro: è su questo punto cruciale che si gioca il consenso politico presente e futuro nei nostri Paesi.

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