La politica che marchia
martedì 16 ottobre 2018

La sfida della mensa scolastica che si sta disputando a Lodi, dove ai genitori extracomunitari viene chiesto un supplemento di documenti per ottenere gli sconti riservati ai meno abbienti, ricorda tanto quei cartelli che negli anni 60 e 70 comparivano agli ingressi degli stabili delle città del Nord sui quali la scritta «Affittasi appartamento» era accompagnata dalla postilla «non si accettano meridionali». Tra i due episodi ci sono però almeno un paio di differenze: la prima è che oggi nessuno si sognerebbe di appendere su una sede istituzionale un cartello con scritto «gli immigrati non sono graditi», anche se il senso di tante azioni dice proprio questo; la seconda è che negli anni della grande immigrazione dal Meridione d’Italia la politica e il dibattito pubblico non si sono mai abbassati al livello dei cartelli sui portoni, né hanno cavalcato consensi alimentando divisioni e ostilità, ma hanno operato per spegnere i focolai delle paure e favorire l’integrazione.

Col tempo le condizioni del Paese e gli approcci alle questioni sociali sono mutate, ma il tema si ripropone: che problema abbiamo oggi in Italia con gli stranieri? Che cosa spinge non pochi di noi a guardarli spesso con ostilità, fin quasi a perdonare i connazionali che delinquono, violano le regole o sottraggono risorse alla comunità con l’evasione fiscale, e fino al punto di far pagare il conto ai bambini? Per capirlo bisogna partire riconoscendo che a Lodi (o negli altri Comuni a guida leghista in cui si registrano provvedimenti simili) non si sta negando il pasto in mensa a nessuno, l’intenzione esplicita è quella di verificare chi ha realmente diritto agli sconti. E non è una misura di per sé illegittima.

Chiedere ai cittadini extracomunitari di esibire oltre all’autocertificazione Isee, come avviene per gli italiani, anche documenti relativi a eventuali proprietà nel Paese d’origine può servire a stanare eventuali furbetti, ma anche a rendere la vita difficile agli stranieri d’origine, a marcare il "noi" e "loro". La realtà insegna, infatti, che in certe situazioni e in certi Paesi possono servire mesi per ottenere le carte necessarie, quando ci sono. Anche nella progredita Italia le carte catastali non sono sempre "precise", mentre per un documento di identità, un codice Pin o un rimborso da un ente pubblico talvolta si aspettano settimane o mesi. Insomma, non stiamo discutendo di correttezza formale, ma di una regola che serve a segnare una differenza tra gli italiani e quella parte di mondo che fa "concorrenza" nella povertà. Altro che lotta alla «pacchia»...

Dietro misure di questo tipo purtroppo non si scorge solo un desiderio di legalità, non si vede l’avvio di un percorso per riposizionare l’Italia nelle classifiche internazionali della corruzione, della trasparenza, del sommerso, e nemmeno un disegno per inaugurare la stagione delle dichiarazioni fiscali fedeli alla reale situazione delle famiglie. Si legge invece la volontà di discriminare, e non è difficile capirne il motivo: la povertà assoluta riguarda il 6% degli italiani e il 33% degli stranieri. Gli stranieri rappresentano un "problema" enorme perché sono più poveri di noi e, nonostante questo, hanno anche famiglie più numerose. La loro presenza è come un pugno nello stomaco per una società che fatica ad aumentare il proprio benessere senza trasferire debito alle future generazioni, cioè ai propri (pochi) figli, e non riesce a costituire il capitale sociale necessario per promuovere una diffusa e civile convivenza.

Quanto accade a Lodi è lo specchio di tante contraddizioni. Una colletta tra famiglie e realtà sociali ha permesso di raccogliere fondi e coprire il costo della mensa fino a dicembre per i 300 e passa bambini penalizzati dal provvedimento comunale.

Ma si dovrebbe guardare oltre questo gesto di solidarietà e di impegno civile a favore dei più deboli, per chiederci una volta di più quale società vogliamo costruire, che casa vogliamo abitare, che idea di Paese può avere cittadinanza (e riconoscere la cittadinanza) negli anni a venire. In un mondo ideale, e dove tutti rispettano le regole, la mensa scolastica potrebbe essere gratuita per ogni bambino, a prescindere dal reddito dei genitori e dal Paese di provenienza; nel mondo reale, nel quale evidentemente qualcuno ha interesse a fomentare la concorrenza fra i poveri e la cultura del sospetto, il rischio è ritrovarci presto alle prese con una nuova crisi e cartelli appesi ai portoni che invitano a non bussare.

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