La morte come diritto frutto amaro delle «dat»
mercoledì 3 gennaio 2018

La legge sulle cosiddette «Disposizioni anticipate di trattamento» (Dat) cambia radicalmente alcuni paradigmi fondamentali della nostra società. Perciò è sbagliato dire che si tratta di una possibilità di scelta alla quale chi non è d’accordo semplicemente può non ricorrere. Con questa legge cambia tutto, pure per chi non volesse scrivere alcun testamento biologico. La legge regola infatti il consenso informato a ogni atto medico, includendo anche le Dat, cioè il consenso ai trattamenti sanitari in una eventuale situazione futura, al momento non prevedibile, in cui ci si potrebbe trovare nelle condizioni di non poter più esprimersi.

La rivoluzione introdotta sta nel fatto di aver definito idratazione e alimentazione artificiali come trattamenti sanitari, per i quali d’ora in poi è necessario il consenso. Si potrebbe obiettare che anche adesso non si può costringere nessuno a infilarsi una flebo. Invece finora alimentazione e idratazione erano date per scontate, così come l’igiene del corpo e la mobilizzazione nel letto, perché servono per vivere: si sospendono quando non sono più efficaci o sono troppo gravose per l’organismo, cioè solo per motivi clinici. Con la nuova legge, invece, a tutti sarà chiesto se si vuole essere alimentati e idratati, perché adesso è necessario il consenso. E grazie al comma 6 dell’articolo 1, se il paziente rifiuta, il medico è esente da responsabilità civili o penali, mentre non è obbligato ad applicare idratazione e alimentazione se, richieste dal paziente, le ritenesse contrarie alle buone pratiche clinicoassistenziali. In altre parole, il medico ora è obbligato ad acconsentire ai rifiuti di trattamenti, compresi alimentazione e idratazione. La novità non sta solo in chi decide – medico o paziente – e in come si decide – con il consenso scritto – ma in cosa si decide. D’ora in poi è legittimo chiedere la morte medicalmente assistita se la propria vita dipende da qualche dispositivo medico anche semplicissimo, come un sondino nasogastrico per nutrirsi, o l’ago della flebo.

La scelta di lasciarsi morire diventa un diritto esigibile, e non è più considerata un male per la persona. Scegliere di vivere o di morire, a prescindere anche dalla sofferenza e dalla malattia, ha la stessa legittimità, e il medico è tenuto a eseguire sempre le volontà, con – paradossalmente – maggiori tutele per chi si adegua a quanti rifiutano la vita. E poiché tutte le strutture sanitarie debbono rispettare la legge, in un ipotetico caso Welby o dj Fabo non ci si potrà rifiutare di staccare un respiratore ancora efficace a un malato che lo chiedesse: l’obiezione di coscienza non è mai un diritto. È l’articolo 3, quello su minori e incapaci, a confermare questo cambiamento radicale: d’ora in poi in caso di contenzioso fra il legale del minore e il medico ci si rivolge al giudice. È quanto successo per Charlie Gard: i medici del Gosh – l’ospedale in cui era ricoverato il piccolo inglese – hanno iniziato il contenzioso perché volevano sospendere la respirazione artificiale.

I genitori di Charlie non erano d’accordo, ma non hanno potuto firmare le dimissioni del figlio e cambiare ospedale, gli è stato impedito di esercitare il diritto a scegliere il medico curante, costretti a quel braccio di ferro giudiziario con il Gosh che poi li ha obbligati a eseguire la sentenza, arrivando alla sospensione della respirazione artificiale, sebbene ancora efficace. L’articolo sulle Dat è coerente con questa linea: le Dat sono vincolanti in caso di rifiuto di trattamenti di sostegno vitali, con pochi margini di libertà per il medico. Ma non c’è garanzia neppure sul fatto che le volontà siano rispettate: in caso di contenzioso sarà un giudice a decidere. Aggiungiamo pure che la sciatteria con cui la legge è stata scritta renderà quasi obbligatorio, almeno all’inizio, il passaggio nei tribunali: ognuno infatti può scrivere da solo le sue Dat, senza un medico che le controfirmi, e queste saranno comunque vincolanti.

Non c’è un registro nazionale, non si sa quando si iniziano ad applicare, né chi avrà la responsabilità di eseguirle. In sintesi: questa legge attiva percorsi nuovi, pone scelte diverse, in forma più burocratica – e quindi più soggette a contenziosi –, mettendo sullo stesso piano scelte di vita e di morte. Tutto questo entrerà inevitabilmente nei protocolli medici e nella prassi sanitaria, ed è destinato ad avere conseguenze per tutti, non solo per coloro che vorranno redigere le Dat (numericamente marginali nei Paesi in cui ci sono leggi simili). Nel suo libro sul caso Eluana Englaro, definito «la Porta Pia del vitalismo ippocratico», Maurizio Mori lo spiegava bene: «Come Porta Pia è importante non tanto come azione militare quanto come atto simbolico che ha posto fine al potere temporale dei papi e alla concezione sacrale del potere politico, così il caso Eluana apre una breccia che pone fine al potere (medico e religioso) sui corpi delle persone e (soprattutto) alla concezione sacrale della vita umana.

Sospendere l’alimentazione e l’idratazione artificiali implica abbattere una concezione dell’umanità e cambiare l’idea di vita e di morte ricevuta dalla tradizione millenaria che affonda le radici nell’ippocratismo, e anche prima, nella visione dell’homo religiosus , per affermarne una nuova da costruire. [...] Lo sfaldamento della sacralità della vita umana è probabile porti altri cambiamenti nel modo stesso di strutturare la vita sociale».

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