sabato 25 aprile 2020
La Festa della Liberazione risuona, più che mai, come l’occasione per un’autentica riflessione sulla parola libertà. Credo sia doveroso non mescolare il significato di questa Festa...
La forza di costruire la comunità che verrà
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La Festa della Liberazione risuona, più che mai, come l’occasione per un’autentica riflessione sulla parola libertà. Credo sia doveroso non mescolare il significato di questa Festa – che rappresenta l’uscita dalla guerra e il riscatto dall’oppressione del fascismo e del nazismo – con una liberazione, universalmente auspicata, dalla pandemia in corso che sta stravolgendo ogni equilibrio esistente.

È bene non confondere “guerra” con “pandemia” a partire dal linguaggio in uso. Le parole, oggi, vanno sempre più misurate, scavate, chiarite e approfondite pena il rischio di non capirci. I nostri vecchi – quelli che più di tutti stanno pagando il prezzo per aver casualmente incrociato nella loro vita il Covid–19 – sono parte della generazione sopravvissuta al secondo conflitto mondiale e che, con grandi sacrifici, ha portato l’Italia dalla fame al benessere.

La “distruzione” che lascerà questa pandemia è diversa dalle macerie lasciate dalla Seconda guerra mondiale dove, alla perdita di vite umane, ai danni economici e alla miseria generata era necessario affrontare anche una ricostruzione fisica (abitativa) che si è realizzata dentro un processo di industrializzazione dei nostri territori.

Oggi – cioè nei giorni a venire – non avremo una ricostruzione fisica da compiere, ma una ricostruzione relazionale (anche dal punto di vista dell’abitare le nostre comunità) dentro un enorme processo di evoluzione tecnologica– digitale che va governato e dal quale sarà necessario emanciparsi il più possibile per coglierne gli aspetti positivi e non farsi travolgere, divenendone schiavi, da quelli negativi. Siamo sufficientemente consapevoli che serve un grande ripensamento, una significativa rigenerazione, un abbondante rilancio delle migliori energie e capacità per uscire da questo duplice impasse, quello dell’emergenza pandemica e quello di una nuova fase di sviluppo della nostra Italia.

Nel ricordare i sacrifici umani che ci hanno ridato la libertà nel 1945, dobbiamo impegnarci oggi, con la stessa passione e capacità di sacrifico, per avviare una nuova ricostruzione di questa nostra amata Italia. Credo sia davvero opportuno, necessario e indispensabile, introdurre quello che Ferruccio de Bortoli ha chiamato il «volontariato della ragione» e, aggiungerei, del buonsenso prendendo spunto proprio dal volume “La ragione e il buonsenso” scritto a quattro mani con Salvatore Rossi. Il volontariato e il Terzo settore dovrebbero essere quella nuova forza di civilizzazione, quella uscita di sicurezza che ci permetta di guardare avanti in una nuova prospettiva.

Una grande sfida che non può essere giocata in solitudine. Essere costruttori di relazioni significa contribuire a tessere reti ampie che affrontano problemi complessi. E ciò vuol dire agire di concerto con tutti coloro che operano affinché gli squilibri sociali e la povertà diminuiscano, l’ambiente venga preservato quanto più è possibile, la legalità sia rispettata, la solidarietà abbia un ruolo forte nelle relazioni sociali. La mia città, Padova, è stata chiamata a essere Capitale europea del volontariato per il 2020. Abbiamo iniziato questo percorso lo scorso 7 febbraio all’insegna di un «ricuciamo insieme l’Italia» ispirato dal nostro presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ci ha spronato a essere diretti protagonisti di un essenziale cambiamento. Necessariamente dobbiamo rileggere e riscrivere quel messaggio di fronte alle complesse sfide di questo presente che è già futuro. Il volontariato italiano – di cui tutti in piccola o grande misura ne facciamo parte – non può rimanere relegato al compito di “garzone” o di “tampone” delle fragilità del nostro Paese.

Deve, invece, far emergere le migliori competenze e i migliori talenti per metterli a disposizione e contribuire a dar vita a una fase di rinascimento delle nostre forme istitutive (pubbliche e private) invitate tutte a rinnovarsi e ripensarsi; e ciò vale anche per quelle che regolano il mondo del volontariato e del Terzo settore. Dobbiamo tutti sentirci in discussione, così come tutti dobbiamo contribuire a una grande “agorà” della ragione e del buonsenso per individuare una rotta, condivisa e compartecipata, per costruire la comunità che verrà. Oggi, più che mai, dobbiamo sforzarci di essere solidali e allo stesso tempo sodali.

Dobbiamo prenderci queste responsabilità in quella libertà dell’agire, che è la volontà che anima il volontario. La tragedia che stiamo vivendo è una grande occasione di cambiamento per tutti e per tutto. Non cadiamo nell’errore di voler liberarci esclusivamente dalla pandemia, tralasciando le altre complessità che interrogano il futuro del Paese e dell’umanità. Ne va della qualità e del senso delle nostre vite e del nostro vivere.

Presidente di Padova capitale europea del volontariato

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