La festa non può essere lasciata solo alle armi
martedì 9 maggio 2023

L’anniversario della dichiarazione di Schuman chiama a una responsabilità Tre piazze oggi in festa, idealmente a disegnare se non nuovi confini, almeno sfere di influenza dopo 14 mesi di conflitto nel cuore dell’Europa. Coincidenza, se non ironia della Storia, la parata sulla Piazza Rossa di Mosca per celebrare la vittoria dell’Urss sul nazismo coincide con la Festa dell’Europa.

La liturgia del Cremlino, con il discorso di Vladimir Putin che si contrappone all’alzabandiera e all’Inno alla gioia per celebrare, nei palazzi di Bruxelles e di Strasburgo, la storica dichiarazione Schuman. «La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano », scrisse il 9 maggio del 1950 il ministro degli Esteri francese nel documento fondativo che diede avvio al processo di integrazione europea. Per poi aggiungere: «Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche ».

Relazioni pacifiche che la terza piazza oggi in festa, quella di Kiev, sembra però non poter nemmeno evocare. La visita all’”euro Maidan” della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen è un aggiornamento di altre storiche visite a Kiev negli ultimi 15 mesi. La stessa Von der Leyen per tre volte in Ucraina, e prima ancora la presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola. Quanto a immagini storiche, ancor più emozionante è quella scattata il 16 giugno del 2022 nel salottino del treno in corsa dalla Polonia a Kiev con a bordo Mario Draghi, Emmanuel Macron, Olaf Scholz: gli “azionisti di maggioranza” a sancire l’intenzione politica di fare dell’Ucraina un membro del club di Bruxelles. Tutto questo significa difendere, con i confini ucraini, anche quel sistema di legalità internazionale e di rispetto dei diritti umani che l’invasione di Putin ha messo in forte pericolo. Questo il messaggio, certo molto più drammatico per il Vecchio Continente, che non per Washington: l’Europa baluardo politico ed economico per Kiev.

Non solo, quindi, un alleato militare all’interno di un Patto Atlantico che ha ritrovato centralità politica e militare. Le 12 stelle gialle su sfondo azzurro il traguardo di una transizione politica che l’Ue ha accettato di guidare per far compiere al nazionalismo ucraino, non privo di ambiguità e di tentazioni autocratiche, il salto di qualità che il trattato dell’adesione dovrà, al termine di non scontate verifiche, sancire. Una festa dell’Europa che impone di aggiornare ma non rinnegare il manifesto fondativo del 9 maggio del 1950: pacificare Alsazia e Lorena allora poteva sembra una “ mission impossible” come ora, dopo Bucha e Bakhmut, pacificare Crimea e Donbass. Ma la dichiarazione di pochi giorni fa del responsabile della politica estera europea Joseph Borrell, mentre oggi si canta l’Inno alla gioia, suona davvero come una stridula stonatura: «In Ucraina non è il tempo della diplomazia, ma delle armi».

Un avallare l’escalation bellica – ora probabilmente anche con la fornitura di jet – come unica soluzione politica possibile mentre una iniziativa diplomatica, chiamata a mettere attorno al tavolo necessariamente anche Pechino, sembra non trovare nemmeno nelle cancellerie uno spazio di dibattito. Una festa dell’Europa che impone di costruire, invece, una politica estera europea comune dettata – più ancora che dai trattati e dalle riforme – dalla sfida di fare dell’Ucraina un vero socio dell’Europa nata dalla Dichiarazione Schuman.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI