La chiusura e la rinuncia
giovedì 2 settembre 2021

Il ponte aereo è finito. E ogni altro ponte tra Afghanistan ed Europa sembra crollato. Travolto dal peso delle parole felpate e schiaccianti che, martedì 31 agosto, i portavoce e i ministri degli Affari Interni dell’Unione Europea si sono affrettati a concordare sulla (non) accoglienza dei profughi dall’Asia centrale: restino lì, dove sono, pagheremo gli Stati confinanti per questo.

Una frase che gli europei, in quest’inizio del XXI secolo, avevano già scritto più volte in turco o in arabo libico e che porta in grembo pochi, secchi e tristi anticomandamenti. Primo, archiviare l’emozione per il dissolvimento dello Stato afghano e per l’incubo taleban sul futuro di donne, uomini e bambini.

Secondo, non aprire canali regolari per i richiedenti asilo o, se proprio si vuole, usare il contagocce: poche storie strappalacrime e meno bambine possibili a saltellare felici allo sbarco in un aeroporto sicuro (come la piccola, regolarissima, che ha reso indimenticabile una foto diventata icona della speranza persino dentro la nuova tragedia afghana). Terzo, chi vuol venire da lì a qui, sappia che cosa lo aspetta: percorsi di terra e di mare appaltati a trafficanti senza scrupoli e costellati di barriere, di veri lager e di campi minati, sin dentro il cuore balcanico d’Europa.

Tutti d’accordo, alla fine. Tranne uno: il presidente dell’Europarlamento David Sassoli. E bisogna ricordarsene, perché non tutti sono uguali e sbattono le porte in faccia alla stessa maniera. Ma bisogna anche tornare alle domande su noi stessi che ci hanno inquietato nell’agosto del nostro scontento per il «disastro d’Occidente» a Kabul e del tormento degli afghani e di tutti gli altri, profughi e migranti forzati. Tormento di cui ci accorgiamo a intermittenza o di cui non ci accorgiamo affatto.

C’è ancora l’Occidente? E, se c’è e ha sempre la maiuscola, qual è, oggi, la sua anima? E cosa ne è della sana ambizione di quel pezzo di pianeta che si era proclamato patria della libertà e della responsabilità, dei diritti e doveri in civile equilibrio, dell’umanità riconosciuta e praticata? Davvero il nostro Occidente ha forza e senso dietro a un recinto permeabile alle merci e impermeabile ai poveri e ai perseguitati? Davvero pensiamo che il nostro contributo di europei al futuro comune dell’umanità sia di far affari restando rincantucciati in un sempre più vecchio angolo di Terra?

Davvero immaginiamo di poter essere ancora e sempre 'grandi' se la nostra idea di cooperazione è lasciar sgocciolare soldi e solidarietà e centellinare compassione? Davvero ci illudiamo che questo convinca e conquisti uomini e donne che hanno la nostra stessa statura e non un briciolo di dignità in meno? Chi chiude le sue porte non chiude fuori il mondo e l’umanità, ci rinuncia.

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