venerdì 1 marzo 2013
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Una cosa è certa: Gesù non ci ha mai ingannati. I Vangeli non ci hanno nascosto niente, nemmeno le miserie e i tradimenti dei suoi amici. San Pietro, l’Apostolo che avrebbe dovuto ricordare a tutti che Dio c’è e veglia su di loro; che ogni lamento, ogni ingiustizia ogni lacrima versata non vanno perduti ma raccolti e custoditi negli scrigni dei cieli; che il passaggio in questo mondo – davvero tanto breve – non è che l’introduzione al libro della vita, nel momento più difficile lo lasciò solo in mezzo ai degli energumeni che lo sbeffeggiavano flagellandolo e sputandogli addosso. «Il Vangelo – ha detto il Papa nella sua ultima catechesi di mercoledì 27 febbraio – purifica e rinnova, porta frutto, dovunque la comunità dei credenti lo ascolta e accoglie la grazia di Dio nella verità e nella carità. Questa è la mia fiducia, questa è la mia gioia… Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano». Parole che avevano il sapore di un testamento spirituale che lascia alla Chiesa da lui amata e servita. Il termine gioia è risuonato diverse volte. Non il peso, non il dovere, ma la gioia di essere cristiano.
Il Papa ha candidamente confessato che «vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate e il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa, e il Signore sembrava dormire». Chi di noi non ha vissuto momenti in cui Dio sembrava essere lontano, inafferrabile? Chi non gli ha chiesto, almeno una volta nella vita, con il cuore stretto in una morsa: «Signore dove sei? Perché te ne stai lontano?». Eppure, ha detto il Papa, «ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare». Quanta serenità traspare in queste parole. 
La Chiesa è di Cristo. È lui che l’ha acquistata a prezzo del suo sangue. E in questa Chiesa, come nella rete di Pietro il pescatore, finiscono pesci di ogni tipo. E insieme ai pesci qualcosa che con il mare non dovrebbe avere niente a che fare. La Chiesa è sua, ma è affidata a noi. A noi che dovremo tremare ogni volta che accostiamo un fratello per annunciargli il Regno. Dio nessuno mai lo ha visto. Ai suoi figli è affidato il compito di renderlo presente agli uomini. E la nostra serietà, la nostra coerenza, la nostra santità possono facilitare l’incontro. Quale responsabilità. Una missione ardua, affascinante, unica, certamente. Ci mette al riparo da ogni sciocca presunzione il fatto che non siamo stati noi, ma Lui a volere così. Fu Lui infatti che, pur sapendo di rischiare, volle mettere nelle nostre mani la Parola e i Sacramenti.
L’Eucarestia, un Pane che nella sua semplicità nasconde una Presenza vera. La presenza stessa di Cristo. I cristiani lo mangiano, lo conservano, lo adorano, ma potrebbero anche – e tante volte è accaduto – rigettarlo, calpestarlo, profanarlo. Così come la vita, che può essere accolta, apprezzata, custodita, ma anche rinnegata, maltrattata, uccisa. Questa libertà non dice il fallimento di Dio quanto piuttosto l’immensa considerazione che Dio ha di ognuno di noi. E anche dopo essere stato maltrattato e rinnegato Dio non si arrende ma continua imperterrito a cercare l’uomo per ricominciare daccapo. Come se lo spuntare di ogni alba fosse l’inizio di una nuova umanità. È stato emozionante vedere il Papa, il vicario di Cristo in terra, mentre ci apriva il cuore: «Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi». Parole che i cristiani cattolici non dimenticheranno facilmente.
Siamo stati chiamati a servire la Chiesa, sposa e corpo di Cristo e farla, con la nostra vita di preghiera e di fedeltà al Vangelo, più bella e trasparente. Servirci della Chiesa per noi stessi sarebbe tradire e rinnegare la vocazione ricevuta in dono. Grazie, Santo Padre.
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