mercoledì 4 febbraio 2009
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Caro Direttore, in questi giorni ho visto in televisione alcuni programmi sull’universo: stelle, pianeti, galassie, buchi neri, nebulose… Sembrava veramente di essere in viaggio nello spazio. Mentre osservavo provavo grande meraviglia e stupore, tanto erano belle le immagini e misteriosi gli spazi che descrivevano. Ma, pensavo, tutti questi mondi bellissimi mancano di qualcosa. In un racconto famoso, al capitolo XXI, quello della volpe, il Piccolo Principe si rivolge così a delle rose: « Voi siete belle, ma siete vuote » . Sì, l’universo è bellissimo, ma finora non si hanno prove che vi sia altra vita oltre la nostra. Invece il nostro piccolo pianeta pullula di vita. Sì, il nostro pianeta è niente in confronto a tutti quegli spazi, quei mondi, quei colori. Però qui c’è qualcuno che sa di esistere e sa rallegrarsi di tutta questa bellezza. Siamo noi, tra tutti gli esseri viventi, i soli che sappiano di esistere! Siamo tanto fragili e indifesi, ma ce ne possiamo rendere conto. La nostra intelligenza può spingersi agli estremi della realtà allargandosi verso l’infinitamente grande oppure concentrarsi sull’infinitamente piccolo. Possiamo passare dai buchi neri al genoma umano! Siamo anche abbastanza complicati perché mentre tutta la realtà, macro e micro, nella sua maestosità e bellezza obbedisce a leggi, noi umani abbiamo libertà, sentimenti ed emozioni, volontà, intelligenza per cui il nostro comportamento non è sempre prevedibile. Il Piccolo Principe paragonava quelle rose «belle, ma vuote » alla « sua » rosa. La volpe gli farà notare che « È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante» . Ebbene ci troviamo dispersi su un granello di polvere in uno spazio incredibilmente grande. Ma questo granello di polvere è teatro della più complessa vicenda mai esistita: la storia e la vita degli uomini. Storia e vita di cui anche noi, nel nostro piccolo, siamo attori e registi. Ora c’è da chiedersi perché le persone facciano tanta fatica ad andare d’accordo. In proporzione, la nostra vita si svolge su questo pianeta per un istante brevissimo di tempo, allora perché non vivere in solidarietà, cercando il reciproco vantaggio? Perché non lasciamo che la bellezza del mondo che è attorno a noi entri in noi così renderci a nostra volta « apostoli » di questa bellezza e di questa pace? Come per la rosa il Piccolo Principe, noi possiamo prenderci cura di questo pianeta e dei suoi inquilini, noi possiamo addomesticare e lasciarci addomesticare da questa vita così bella, così unica. Nel racconto la volpe si congeda dal Piccolo Principe così: « Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi».

don Alberto Tomasini Cadignano di Verolanuova ( Bs)

La sua, gentile reverendo, è la riflessione nello stesso tempo semplice e profonda che può scaturire solo da un animo sensibile. L’osservazione dell’immensità dell’universo – di cui il nostro sistema solare è un’infinitesima frazione – può condurre a due esiti: può smarrirci nella vertigine, come vuole un certo pensiero nichilista, e come per esempio accade al cosmonauta protagonista del celeberrimo film di Stanley Kubrik, «2001 Odissea nello spazio», che letteralmente naufraga in quest’abissale sproporzione. O può, alla luce della Rivelazione cristiana o anche di una ragione scientifica aperta al mistero, affermare la grandezza del Creatore e, di riflesso, della sua creatura prediletta: l’uomo. Giustamente lei si chiede come possa il libero arbitrio, di cui la persona umana è elettivamente ed esclusivamente dotata, condurre all’egoismo e all’inimicizia. Senza addentrarci in argomenti profondi e impegnativi come l’oggettività del male, mi limito a ricordare – avendone l’età – un particolare che mi fece molto pensare nelle cronache delle prime spedizioni lunari, alla fine degli anni ’60. Alla domanda su che cosa li avesse più colpiti della Luna e del cosmo, molti degli astronauti rispondevano subito: la Terra. Ovvero la bellezza di un pianeta che – visto da fuori – appariva davvero come un’arca, casa comune di tanti popoli. La visione di questo grande ma insieme minuscolo condominio (relativamente alle dimensioni dello spazio), sospeso nell’immensità eppure così protettivo e accogliente, portava questi uomini a una saggia ripulsa dei litigi e dei conflitti umani (e allora si era in pieno clima di Guerra fredda!): vere assurdità. Ma c’è di più. Fra i diversi oggetti che agli astronauti Armstrong e Aldrin recarono con sé durante il primo storico allunaggio, nel luglio 1969, sembra ci fosse anche il testo del Salmo 8, affidato loro da Papa Paolo VI. Ebbene, il versetto 5 di quel Salmo, fra i più belli di tutta la Scrittura, recita: «Cosa è l’uomo perché te ne curi?». Il cantore, dopo aver ammirato la maestà del firmamento, si domanda quale sia il motivo della grandezza dell’uomo e della sua dignità, che sono anch’esse altrettanto palesi. La risposta è proprio nella pedagogia di Dio che si esprime attraverso l’infinito. L’uomo, che il filosofo Pascal definisce una «fragile canna», viene da Dio stesso «incoronato» sovrano. Insomma questa creatura fragile e finita riceve un’investitura che la rende addirittura «poco meno degli angeli», come riconosce il salmista. L’uomo, insomma, eredita questo dominio: non lo ha conquistato da solo. Da questa coscienza scaturisce inevitabilmente una responsabilità nuova, e radicalmente pacifica, perché pacificata.
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