sabato 13 giugno 2015
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Gentile direttore,
sono disoccupata da qualche mese, dopo una vita di lavoro. Disoccupata e disorientata. E per questo mi sono risolta a scrivere una lettera al presidente dell’organizzazione di categoria della quale sono stata dipendente, senza alcun riscontro. Certo, mi sono poi detta, chi sono io per avere risposta da persone che non immaginano neanche che cosa significhi svegliarsi di notte di colpo, ed essere presi da un nodo alla gola che ti toglie il respiro… Non è facile fare i conti con la triste realtà che per avere diritto alla pensione impone ancora tanti anni di contributi da versare, sempre che si trovi un lavoro, impresa ardua per chi non può neanche vantare l’esperienza e la competenza acquisite perché oggi – almeno per quelli della mia età – sono diventate "disvalori". Sono una persona riservata, ma per una volta ho sentito forte di desiderio di esprimere i miei sentimenti seguendo anche l’insegnamento di papa Francesco che ci invita a non vergognarci di ciò che viviamo. Lo faccio di nuovo, condividendo con lei, che seguo da anni attraverso "Avvenire", il testo di quella lettera inviata il 2 marzo scorso al suo importante destinatario.
«Gentile presidente Carlo Sangalli proprio ieri, domenica 1 marzo 2015, mentre leggevo "Avvenire",  mi sono fermata su una sua intervista che nelle battute iniziali, affermava che "è l’ora di osare". Colpita, ho pensato che anche io potevo osare  di scriverle, anche perché ho trovato diversi punti in comune con lei. Ho 53 anni, sono di Macerata e qui ho avuto la fortuna di lavorare per l’azienda di cui lei è Presidente, la Confcommercio, per quasi 30 anni. Ho vissuto momenti positivi in cui tutto sembrava andare a gonfie vele e momenti difficili che però non ci hanno mai fatto perdere la fiducia. Fino all’agosto del 2014, quando sono venuti al pettine gravi nodi gestionali e siamo stati mandati tutti a casa. Anche io, come lei, ho quattro figli, ma non sono ancora arrivata alla fase dei nipoti; anche io pensavo con generosità che i figli fossero una ricchezza non solo per la famiglia, ma anche per  la società. Avrei voluto scriverle di mio pugno questa lettera perché mi piace farlo in modo personale e "tradizionale", ma purtroppo le mie attuali condizioni di salute non me lo permettono: appena tre mesi dopo la perdita del lavoro, guarda caso, mi è venuta una antipatica malattia reumatica (di origine autoimmune) scaturita da un forte stress e che rende attualmente difficoltosa la funzionalità delle mani; sono al momento in terapia presso un centro specializzato e sono certa che ne uscirò. Non mi voglio identificare con tale malattia, io sono altro ed è per questo che non mi perderò d’animo. Vedo che è proprio nelle difficoltà che si scopre il valore della famiglia, e i miei ragazzi (tre oggi all’Università, uno vincitore per merito di una provvidenziale borsa di studio) sono stati straordinari a non farmi pesare tale situazione. Sono certa che lei comprenderà bene la difficoltà di arrivare a fine mese con uno stipendio (grazie a Dio quello di mio marito che è insegnante in una scuola superiore), ma è pur vero che mi sono rivista anche io in quella fascia di ceto medio produttivo a rischio di impoverimento di cui lei è consapevole. La passione con cui vivo, l’ho avuta anche e con slancio nell’impegno per il lavoro, pur in anni in cui avevo figli piccoli, un marito, una casa da accudire. Ed era tanta la voglia di fare e di migliorare, che ho ripreso anche a studiare (con grandi sacrifici, di notte e nelle poche ore libere), laureandomi all’età di 50 anni. Ora è anche con questa laurea in mano che mi sono rimessa in gioco. Ho iniziato a mandare curriculum pensi, sono anche andata al "Career Day" organizzato da varie Università facendo la fila con centinaia di giovani come i miei figli. "...certo Signora... deve aver avuto delle grandi capacità organizzative per portare avanti tutto, e poi si è anche rimessa a studiare!" mi sono sentita rispondere. Io non lo so se realmente posseggo preziose capacità organizzative, non mi sono mai sentita particolarmente brava, ma mi sono sempre buttata nella vita con grande energia e coraggio senza sentirmi straordinaria (forse è tipico delle mamme italiane). Ed è un fatto che non sto ricevendo alcun riscontro alle mie richieste di lavoro. Spero di non averle sottratto troppo tempo, spero altresì che  legga la mia lettera e magari mi degni di un cenno di riscontro. La saluto cordialmente e oso allegare il mio curriculum, chissà che questa volta non succeda qualche cosa...».
Mi scuso, caro direttore, per la lunghezza. Forse questa lettera è impubblicabile. Ma ho voluto raccontarle la mia storia, simile a quella di tante altre famiglie in difficoltà che affrontano la quotidianità con dignità, continuando a infondere ai figli fiducia per evitare che cresca in loro un senso di scoraggiamento.
Patrizia Sciapichetti, Macerata
Ho dovuto accorciare un po’ la sua lunga e intensa lettera e me ne dispiace davvero, cara signora Patrizia. Sappia però che per lasciare più spazio alla sua voce ho ridotto al minimo questa mia risposta, che – per quel che vale – è profondamente grata e solidale con lei. Proprio mentre la "strumentazione" del cosiddetto Jobs act viene completata, mi sembra infatti particolarmente opportuno offrire alla riflessione comune dei lettori di "Avvenire" la sua testimonianza dignitosa e dolente di cinquantenne disoccupata. Se una lavoratrice, sposa e madre capace di incarnare valori forti, e di sentire nei confronti del "morale" dei figli la responsabilità che lei ci trasmette, arriva ad ammettere che l’«esperienza» e la «competenza» lievitate in una vita di dedizione professionale sono percepite come «disvalori», come impacci nella ricerca di un ponte tra la sua età di mezzo e l’età della pensione, bisogna concludere che il nostro è un Paese davvero messo male. E che ha davvero bisogno di quel «cambiamento di verso» che sentiamo evocare spesso, e per ora possiamo solo continuare ad augurarci. Spero tuttavia, cara e gentile amica, che questa mia risposta sia la prima di una serie. Spero anche che dalla Confcommercio e dal suo presidente – che so persona impegnata, ma non distratta – le arrivi un riscontro degno almeno dei suoi trent’anni di lavoro in quell’organizzazione. E soprattutto spero che ci sia almeno una risposta all’altezza della sua giusta attesa. Un saluto caldo, a lei e alla sua bella e grande famiglia: forza e buon cammino.
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