venerdì 10 luglio 2009
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La Chiesa ha una sua «fantasia». E lo dimostra – se mai fosse necessario – la visita pastorale tenutasi ieri nelle acque del Canale di Sicilia. Anzitutto per ricordare che è luogo di vita, perché il Mediterraneo offre ai pescatori un lavoro, pur duro. Ma che si è trasformato anche in un luogo di morte, perché diventato negli ultimi anni la tomba di migliaia di disperati in fuga verso la fortezza Europa alla ricerca di una vita migliore. E per ricordare, con questa iniziativa, che il mare unisce e non deve separare, perché è fratellanza e scambio. È una comunità capace di accoglienza e di condivisione, quella di Mazara del Vallo, guidata dal vescovo Domenico Mogavero, che ieri ha scelto di andare in mare per ricordare la realtà che tutti i giorni si vive sulle coste siciliane. Anzitutto quella dei lavoratori migranti, perché da oltre 30 anni Mazara, storicamente legata al mondo arabo, sperimenta la presenza quotidiana dei marittimi tunisini e delle loro famiglie in un laboratorio interessante di integrazione. Tunisi dista poco più di 100 chilometri e, da quando sui pescherecci sono cominciate a mancare braccia giovani, il flusso migratorio è partito quasi naturalmente verso la costa italiana. Senza questa manodopera la flotta più grande d’Europa, che rifornisce di pesce fresco i mercati di tutta Italia, si fermerebbe e la città si incamminerebbe verso un declino inesorabile. La visita pastorale sottolinea anche l’unicità del 'laboratorio Mazara'. Al porto non c’è barca che non trasporti equipaggi italo-tunisini. E nelle suggestive viuzze della casbah , la città vecchia, si respirano tutti gli odori e i sapori del Mediterraneo. Le scuole sono una realtà di integrazione da tempo, già sui banchi delle elementari bambini italiani e tunisini crescono insieme. Non è certo una realtà facile, ma la comunità cristiana lavora ormai da tanti anni per costruirvi la convivenza. La Caritas diocesana ha realizzato progetti che consentono ad esempio alle donne delle due sponde di conoscersi. La visita di ieri in mare aperto ricorda che quella dei marittimi è una vita di povertà e stenti. Non c’è salario fisso, si viene pagati in base al pescato. Quando la pesca va male non si arriva a 500 euro di retribuzione per settimane passate via da casa. Le madri e i figli devono spesso arrotondare con i lavori più umili. Ed è faticoso tenere unite le famiglie quando la povertà morde. Nella città vecchia ci provano le Piccole sorelle e volontari del centro per la vita con il loro doposcuola, che diventa scuola di italiano e faro per tenere i piccoli alla larga dalla cattiva strada, aiutando chi merita, tra mille sacrifici, a proseguire gli studi. La visita pastorale rende omaggio all’esempio solidale e generoso dei marittimi, i quali spesso, per salvare le vite dei passeggeri imbarcati da scafisti senza scrupoli sulle 'carrette' del mare, hanno rischiato la vita o il fermo barca, quindi la disoccupazione. Sono i poveri che obbediscono alla legge della fratellanza. Infine dal mare di Mazara arriva un richiamo alle coscienze. Al largo si muore tentando la sorte, sperando in un futuro migliore della miseria che regna nel Maghreb e nell’Africa sub sahariana. Nessuno sa quanti siano periti in questi viaggi, si stima che solo nel 2009 i morti senza nome e senza storia siano stati circa 500. Ieri hanno fatto memoria di questi fratelli con una preghiera e una corona di fiori gettata tra le onde. Questa visita pastorale ci regala una speranza, che i porti d’Europa tornino ad aprirsi e che passi l’onda della paura.
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