Il successo non fa la buona musica (a proposito di Beatles e Måneskin)
giovedì 30 dicembre 2021

Gentile direttore,

da ogni dove si levano gli osanna ai Måneskin, definiti (dal loro scopritore...) addirittura i nuovi Beatles. Da musicista e insegnante di Conservatorio non posso che far rilevare non solo la modestia del risultato musicale e la minima capacità tecnica richiesta (che valgono qualcosa solo perché spiccano in un panorama musicale appiattito da rap e trap), ma anche la definitiva consacrazione dell’immagine sul contenuto, tant’è vero che già illustri commentatori li hanno definiti “fluidi” (che in soldoni vorrebbe dire uomini che sembrano donne e viceversa). Negli anni Sessanta-Settanta del Novecento (e non è nostalgia: ormai sarebbe come essere definiti “nostalgici” se amanti di Puccini o di Coltrane) i gruppi musicali più noti possedevano una solida tecnica, buona preparazione socio-culturale e grande creatività compositiva, spesso filtrata dalla musica classica o dal jazz.

I giovani ritrovavano i loro valori dentro testi importanti, che sono rimasti poesia anche dopo decenni, si pensi a Dylan o a De André al confronto con la grigia banalità di «siamo fuori di testa, ma diversi da loro» (?). Gli stessi Beatles non erano certo dei mostri di bravura come strumentisti, ma le canzoni di Lennon e McCartney erano così belle (così ispirate, così “classiche” nel senso di “fuori dal tempo”, come Mozart) da far passare in secondo piano la mediocrità della batteria di Ringo, e al- lora i “mostri” c’erano comunque: Jaco Pastorius per esempio, ma anche, in Italia, Demetrio Stratos.

Oggi è il culto dell’avere successo a soppiantare questi valori, e soprattutto ad averlo subito, senza faticare, senza studiare anni come invece fanno le centinaia di allievi dei nostri resilienti Conservatori, che però si trovano spaesati di fronte a queste continue trovate mass-mediatiche. Perché dovrei studiare, si chiedono, se il mio “sogno” lo posso realizzare così facilmente? La malattia è anche della musica classica, intendiamoci: nella direzione d’orchestra oggi più che mai succede che si arrivi per motivi d’immagine, che con la capacità, lo studio e la bravura c’entrano poco. È lo specchio della nostra società, in fondo, che ha continuamente abbassato il livello della cultura necessaria a farne parte “attiva”: se ormai siamo tutti virologi e sul vaccino ne sappiamo come e meglio dei medici, ancor più siamo tutti musicisti, e de gustibus non est disputandum (persino, ahimè, in chiesa). Ma i gusti si creano con la cultura: la cucina è arrivata a livelli altissimi perché tutti sappiamo come mangiare bene da anni, non così per la musica dove si va avanti ad hamburger – ogni volta sempre più speziati –, credendo (e facendo credere) che siano manicaretti. Questa sì, ha un po’ il sapore della dittatura musicale.

Lorenzo Della Fonte, Conservatorio di Torino

Il sasso è gettato, caro maestro Della Fonte. Con eleganza, e con mira decisa. Grazie. Anche perché con il tonfo sento echeggiare il famoso “il re è nudo”. E non penso, lo giuro, a certe mise color carne dei Måneskin, che a mio poverissimo parere offrono alcune delle cose migliori di questo «tempo sbandato» (mi mancano, lo ammetto, i concerti di Ivano Fossati e i grandi strumentisti che sapeva convocare). In ogni caso, sono uno di quelli che hanno imparato, e non dimenticano, che la franca e persino ruvida schiettezza dei competenti è come l’innocenza dei bambini: incontestabile. Del resto, oggi più mai, non è soltanto con le sette note e con le parole che si avvinghiano agli spartiti che giocano gli alimentatori di quei fuochi fatui che lei definisce, a ragione e con amarezza, «trovate mass mediatiche». Così si invade una stagione, ma non si fa la storia e si conferma – ma senza la raffinata sapienza rockettara di Edoardo Bennato – che certe hit «sono solo canzonette». Anch’io vado alla ricerca di nuove canzoni indimenticabili, e dunque provo a seguire le tracce dei fenomeni della musica attuale e magari, per un po’, mi accontento delle briciole che trovo. Ci provo, con allegria e non poche delusioni, perché tutto vorrei meno che diventare liquidatorio come lo era mio padre, colto e saggiamente curioso ma non della “nostra” musica. Grazie ancora, mi ha fatto felice con quell’accostamento da par suo tra i Mozart e i Beatles, e con l’omaggio a Jaco Pastorius e Demetrio Stratos. Solo lei qui, oggi, e Pierluigi Diaco, a Radio2 Rai, siete riusciti a farmi dire qualcosa della mia passione per la musica che gira intorno e che ancora ci fa vibrare e cantare.

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