venerdì 12 ottobre 2012
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​Quanto più si analizzano i dettagli della legge di stabilità, tanto più ne emergono gli aspetti critici. Ma, nello stesso tempo, se ne avverte il carattere di necessità e se ne apprezzano alcune indicazioni di un cambiamento possibile.Non c’è dubbio infatti che l’aumento dell’Iva di un punto percentuale da luglio 2013 (e non addirittura di due, come era in preventivo) peserà per alcune centinaia di euro nei bilanci delle famiglie. E finirà per avere un effetto ulteriormente depressivo sui consumi interni di beni. Tanto più che l’incremento sarà solo in parte compensato dalla diminuzione – questa volta dal prossimo gennaio – di un punto percentuale delle due aliquote fiscali di base: dal 23 al 22% la prima, dal 27 al 26% la seconda. Il risparmio d’imposta per i contribuenti, infatti, varia in base al reddito complessivo e ai carichi di famiglia, ma oscilla tra lo zero (per chi guadagna meno di 8mila euro l’anno) e un massimo di 280 euro l’anno. Solo i nuclei con due redditi intorno ai 30mila euro riusciranno a massimizzare i benefici, mentre per le altre famiglie, soprattutto dal 2014 in poi, il rapporto costi/benefici virerà verso valori negativi. A maggior ragione perché cambieranno anche le regole su deduzioni e detrazioni. Per le prime verrà introdotta una franchigia di 250 euro, sulle seconde un tetto di 3mila euro (per i redditi oltre i 15mila euro, escluse spese sanitarie e per la casa). Impossibile fare un calcolo generale, ma l’effetto per buona parte dei contribuenti sarà quello di annullare interamente i benefici del taglio delle aliquote Irpef. Così che la manovra «a saldo zero» si rivelerà in realtà onerosa per i cittadini e le famiglie.Si poteva evitare? Si poteva fare diversamente? Realisticamente no, nelle condizioni date. Non solo per il difficile contesto economico, la perdurante recessione e i rischi di instabilità finanziaria tuttora incombenti. Ma anzitutto per la fragilità del quadro politico-sociale. Quello di un Paese squassato dagli scandali, con un livello di legalità preoccupante, con un sistema di partiti senza credibilità ed evidentemente non in grado di progettare il futuro. Certo che si poteva immaginare una manovra diversa, che facesse leva su una più compiuta riforma fiscale. Capace di affrontare finalmente il nodo della tassazione delle famiglie, disboscando le agevolazioni inutili e rafforzando quelle essenziali. All’interno della quale bilanciare adeguatamente i pesi tra tassazione diretta e indiretta, fra imposizione sui redditi e sui patrimoni, ricalibrando gli oneri sociali che gravano sul lavoro. Ma per condurre in porto una tale titanica impresa sarebbero occorsi tempi più lunghi e soprattutto maggioranze politiche più solide e coese. Quanto accaduto con l’ultima riforma del lavoro – approvata con un compromesso pasticciato, subito disconosciuta da entrambi gli schieramenti e che già si vorrebbe sottoporre a revisione – rende bene l’impossibilità, oggi, di pensare "in grande", di impostare svolte rivoluzionarie.Restano però da cogliere le indicazioni, i primi paletti fissati per la nuova costruzione, che pure sono visibili e importanti. La riduzione delle due aliquote di base, infatti, traccia la strada per una detassazione ancora più decisa dei redditi modesti. Così come il finanziamento della detassazione dei salari di secondo livello torna a indicare la volontà di far crescere le risorse a disposizione dei lavoratori, agganciate a una maggiore produttività. In Parlamento, ora, è necessario irrobustire questi aspetti redistributivi, rafforzando l’equità complessiva della manovra. Ad esempio, innalzando i livelli di reddito oltre i quali scatterà il tetto alle detrazioni, immaginando compensazioni per gli incapienti e introducendo – così come è avvenuto per l’Imu – agevolazioni mirate sui carichi familiari. Soprattutto, occorrerà destinare le maggiori entrate derivanti dalla lotta all’evasione alla riduzione delle imposte. Per incrementare la no tax area o per scongiurare l’aumento dell’Iva.
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