Il legislatore è e resta sovrano
giovedì 25 ottobre 2018

Bocciata no, rimandata a settembre. Quando il Parlamento avrà fatto i compiti a casa, così la Corte costituzionale, con una iniziativa senza precedenti, ha sospeso il suo giudizio sulla norma che vieta l’aiuto al suicidio. Bocciarla no, non si poteva. La norma penale è un comando generale e astratto rivolto a tutti; abrogare il divieto contenuto nell’art. 580 del codice penale avrebbe prodotto conseguenze aberranti. Avrebbe storpiato a rovescio il principio per cui la tutela della vita è «all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana», come disse la Corte nel 1997. Il suicidio è tra gli eventi umani una tragica sconfitta esistenziale.

L’Oms dedica ogni anno una giornata per la sua prevenzione nel mondo. In Italia, l’istat conta circa 4mila suicidi. Le spinte di morte non vengono da sofferenza fisica, se non assai di rado (6 per cento); per il resto, ognuno sa che esistono dolori dell’anima e disperazioni non meno cocenti, legate a depressioni, sventure, rovesci, talvolta a rimorsi o sensi di rovina e vergogna. Un luogo dove i suicidi ci angosciano di più è il carcere: uno alla settimana (e quest’anno, giunti a 40 settimane, sono già 50). Se si cancella la norma che punisce l’aiuto al suicidio (cioè il comando di legge che vale per tutti), trovate giusto anche che qualcuno regga lo sgabello e aiuti chi annoda all’inferriata il laccio che stringe la gola? E se si teorizza la libertà e il "diritto di morire" come e quando si desidera, vi sentireste di aprire la finestra a un disperato che vuole liberamente gettarsi di sotto?

Si dirà che non a questo si intendeva arrivare a Milano in Corte d’assise, e certo neanche a Marco Cappato starebbe bene una soluzione così aberrante. L’obiettivo, neanche tanto nascosto ma ostentato, è l’eutanasia. Ma l’aiuto al suicidio, secondo ricerche comparatistiche svolte in 42 Stati membri del Consiglio d’Europa, è punito in 36 Paesi: lo dice la Corte di Strasburgo, nella sentenza "Koch v. Germania" del 2012. Persino in Olanda, Paese che introdusse l’eutanasia nel 2001, si ritoccò l’art. 294 del codice penale, punendo l’aiuto al suicidio col carcere, salvo per il medico che segue i protocolli e le condizioni e i filtri stabiliti.

Altro che volenterosi privati, emersi ora fra noi. Sicché la non caducità dell’art 580 in caso di ipotetico diverso «assetto normativo concernente il fine vita» (così dice) avrebbe suggerito come formula più acconcia la inammissibilità della questione nel processo, vertente proprio sul 580 in vicenda privata (e neanche di «fine vita», in senso terminale). La Corte è chiamata a giudicare le leggi, ma non a crearle; non si può chiederle di fare il catalogo dei suicidi aiutabili e dei suicidi non aiutabili, e quando e perché e con che cosa e se lo possono fare i medici o tutti quanti.

La Corte, dunque, questo non l’ha fatto. Ma ha messo in mora il Parlamento, fissandogli un termine e prenotando l’esame di riparazione a settembre. Non è difficile rammentare, però, che il Parlamento è sovrano e che l’invito non ha certo l’effetto giuridico di una intimazione. E allora?

Resta da capire, quando si potrà leggere il testo dell’ordinanza, quali spiragli suggerisce la Corte per una revisione dell’attuale «assetto normativo concernente il fine vita» di cui sopra; auspicando che in questa nebulosa dizione non si insinuino brecce eutanasiche, esse sì contrarie ai valori solidaristici e alla tutela della vita umana che appartiene – ripetiamolo ciò che essa stessa scrisse nella sentenza 35 del 1997 – «all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana».

Frattanto, c’è una parola che manca totalmente, nell’aula giuridica e nel dibattito sociale, al di là del diritto confuso; è la parola "cura". La cura è ciò che dà vita alla vita quando il dolore del corpo e dell’anima l’affatica e la prostra. La cura non è "il trattamento", il farmaco, il presidio; la cura è lo sguardo della prossimità solidale che ci mantiene umani, in luogo della soluzione letale. L’abbandono è invece l’ombra che ha già spento la vita, prima della pozione di morte.

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