martedì 24 gennaio 2012
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È inevitabile, e in qualche misura anche comprensibile, che della prolusione del cardinal Bagnasco alla sessione invernale del Consiglio permanente della Cei si sarà tentati di dare una lettura "politica". Da parte mia vorrei invece darne una lettura "ecclesiale": questa infatti è l’unica lettura davvero corretta dell’intervento di un vescovo, che si china a riflettere sui segni dei tempi e più in generale sulla situazione spirituale (e di conseguenza sociale) del Paese. Se non si coglie prioritariamente questa dimensione si corre il rischio di tralasciare, come irrilevanti, le prime pagine della prolusione, quelle che sottolineano con energia come la crisi contemporanea sia una "crisi di fede", quasi che fossero espressione di vaghi, sospirosi e indecifrabili atteggiamenti spiritualistici. Non è così. La fede cristiana non è da pensare solo come una fiamma che vive nel cuore dei credenti, ma come un autentico (e oggettivo) motore della storia degli uomini. La decisione di Papa Benedetto di indire, per l’ottobre del 2012, "l’anno della fede" non deve essere pensata come rilevante solo per i credenti, ma come significativa per tutti coloro (credenti in altre fedi, agnostici o non credenti) che percepiscono come solo attraverso la fede è possibile per gli uomini vincere la tentazione del nichilismo e misurarsi positivamente con i problemi, le difficoltà, le tragedie del mondo. È solo partendo da questo presupposto, che tutte le ulteriori considerazioni del presidente della Cei nella sua Prolusione acquistano un connotato "anche" politico e meritano di essere lette.Non si può dare un’autentica risposta alla crisi economica del presente (che ha aperto «una fase inedita della vicenda umana»), né percepire le distorsioni di un «capitalismo sfrenato» o condannare «i coaguli sovrannazionali potenti e senza scrupoli», se non si riesce ad "aver fede" nella politica come una prassi «assolutamente necessaria» al servizio del bene comune. Né si può dare la fiducia che essi meritano ai nostri nuovi governanti, se non si è convinti che «la conversione a far bene è sempre possibile e doverosa». Il cardinale, nel momento stesso in cui si dichiara consapevole che viviamo in una grave condizione di necessità, ci esorta «a scorgere tutto il positivo che può annidarsi anche all’interno di una situazione ingrata». Il primo dovere del cristiano, insomma, è certamente quello di leggere il mondo per come esso è, senza però dimenticare mai che nessuna lettura del mondo è corretta, se non si vuole percepire (come la fede ci induce a fare) la dimensione di bene che è inerente al mondo. In questo contesto il riferimento di Bagnasco al carattere peccaminoso dell’evasione fiscale e al dovere della Chiesa di non chiedere alcun privilegio, in particolare tributario, per se stessa e per i propri membri è forte e limpido. Esso si accompagna, però, alla serena e franca richiesta che da parte di tutti si riconosca la capillare presenza della componente ecclesiale nei servizi sociali e sanitari del nostro Paese. Il cardinale dà cifre precise, che obiettivamente non possono non colpire il lettore scevro di pregiudizi anticlericali. Il contributo che la Chiesa porta al bene di tutti è impressionante ed è un’ulteriore prova (ma ce n’è davvero bisogno?) di come la fede cristiana sappia entrare nella storia, per vitalizzarla e orientarla.La Chiesa, emerge benissimo dalle parole del presidente della Cei, non vuole nascondere o minimizzare le proprie storture e le proprie manchevolezze, né pretende di essere lodata o ringraziata, ma vuole solo essere riconosciuta per il bene che essa fa e per l’impegno che essa profonde per la tutela e per la promozione di quelle strutture sociali nelle quali il bene viene insegnato e radicato nelle coscienze. Questo spiega perché la difesa della famiglia (su cui il cardinale porta con forza l’attenzione verso la fine della prolusione) non sia la difesa di un principio confessionale, ma di una struttura antropologica fondamentale, quella che veicolando il senso della gratuità e della solidarietà mostra i limiti insuperabili della giustizia, nella sua duplice forma commutativa e distributiva. Gratuità e solidarietà sono quei due principi, senza dei quali il vivere sociale si isterilisce e produce pratiche fredde, burocratiche e al limite disumane. Ecco perché la presenza dei cristiani nel sociale, tanto più preziosa quanto più incisiva, ha come suo presupposto la solidità della fede. Ed è questo l’insegnamento fondamentale e conclusivo, che in piena comunione con Benedetto XVI, ci viene rivolto dal cardinal Bagnasco.
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