venerdì 20 maggio 2011
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Su questo giornale, Alessandra De Luca concludeva ieri la cronaca da Cannes osservando che il film di Lars Von Trier, "Melancholia", era stato «molto applaudito ma un po’ fischiato». Se è «un po’ fischiato», non se ne dovrebbe parlare molto. E invece se ne parla moltissimo, in tutto il mondo. Non per il film, ma per il regista. Che con alcune dichiarazioni ha diffuso incredulità e sgomento. Compongo qui un collage delle sue dichiarazioni, desumendole da diverse fonti: «Ho scoperto di essere nazista», «Hitler lo capisco», «Per lui provo simpatia», «Israele è una spina nel fianco» (traduzione buonista), e infine, drastico e definitivo: «Ok: sono nazista», con l’aggiunta minacciosa: «Siccome noi nazisti pensiamo in grande, potrei fare il film "La soluzione finale"». Fermiamoci e ragioniamo.È giusto fare un’abbondante tara a quelle dichiarazioni, perché Lars Von Trier non è sempre compos sui, padrone di sé. Le traversie della sua vita lo spiegano. Ma ignorarle vorrebbe dire non darci importanza, e lui l’importanza se la merita. Perché Lars Von Tier è (mi correggo: era) un regista grande, ha sbagliato dei film ("Anticristo" soprattutto) ma ne aveva indovinati altri ("Le onde del destino", ma anche "Dancer in the Dark" e "Dogville"). Chi l’ha seguito non lo dimentica. E allora ragioniamo sulle dichiarazioni filo-naziste per chiederci cosa significano oggi. In lui come in Mel Gibson: il discorso vale per tutti. «Un giovane nazi-fascista mi fa pena», scriveva Pasolini, «ma un vecchio nazi-fascista mi fa orrore». La differenza tra "pena" e "orrore" dipende dal fatto che il giovane può non sapere, ma il vecchio sa. Lars Von Trier sa. «Hitler lo capisco» dice. Noi non capiamo lui, e quelli come lui. Fa questa dichiarazione adesso, quando ha sbagliato un film. Ci può essere un rapporto tra fallimento artistico e, chiamiamolo così, fallimento etico? Sì, certo. Vedo che Benedetto Croce scuote la testa, ma insisto. È come se il regista dicesse: non parlerete del film, perché l’ho sbagliato, ma parlerete di me, perché vi lancio una sfida che non potrete ignorare. Ma se un artista fa una provocazione del genere a tutta l’umanità, dopo aver sbagliato un’opera, commette un doppio fallimento: a un errore "come artista" aggiunge un errore "come uomo". Non sappiamo cosa potrebbe essere, domani, un suo film col titolo "La soluzione finale", ma se dice che lo farebbe perché si sente membro di una comunità che chiama «noi nazisti», spero che non lo faccia, né ora né mai. Perché abbasserebbe ancor di più la quota del suo valore come uomo, che non è disgiunta dal valore come artista.Si può fare un capolavoro anche filmando le parate di Hitler, come faceva Leni Riefenstahl, ma per la Riefenstahl il Führer che scendeva dal cielo col suo bimotore era l’angelo di una nuova storia ignota e attesa come una palingenesi. Era visto "a priori". Ora siamo "a posteriori". Quella storia è nota, e la Soluzione Finale ne è il vertice. Se quella storia è ignominiosa, il suo vertice è il vertice dell’ignominia. Qualcuno ha fatto un parallelo tra la Riefenstahl e Eisenstein, sostenendo che ognuno aveva a monte una dittatura anti-umana. Ma fu osservato che Eisenstein non conosceva Stalin. Un giorno lo conobbe, e passeggiò con lui per il Cremlino, come la Riefenstahl conosceva e passeggiava col Führer. Ma la Riefenstahl (ricavo l’aneddoto da uno storico del cinema) riceveva bacetti sulle guance, Eisenstein «ricavò dall’incontro l’infarto che lo fulminò».Cannes ha stabilito che il film di Von Trier resta e concorre, ma il regista non è più gradito al festival: il film potrà anche vincere, ma l’autore non potrà ritirare il premio. Von Trier è una "Palma d’Oro", l’ha vinta nel 2000. Allora aveva un capolavoro, "Dancer in the Dark": il film parlava e angosciava anche troppo, l’autore aveva poco da aggiungere. Stavolta l’autore dice troppo, perché il film dice poco. È il calo estetico che genera il calo umano.
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