martedì 27 maggio 2014
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​È stato l’ultimo dittatore della Polonia comunista e il primo presidente della Polonia democratica. Wojciech Jaruzelski, morto domenica all’età di 90 anni, era la personificazione del militar-comunismo: figura rigida, portamento impettito e occhi di ghiaccio nascosti dietro grandi lenti scure.Ci fu un tempo in cui era chiamato Pinochetski dai connazionali, che si divertivano a storpiarne il nome con quello del golpista cileno. Tutto il mondo se lo ricorda quando comparve in tv il 13 dicembre 1981 per annunciare lo stato di guerra. Il sindacato libero Solidarnosc, nato quindici mesi prima a Danzica, venne dichiarato fuorilegge, migliaia di oppositori finirono nei campi d’internamento, polizia ed esercito stroncarono con la forza ogni tentativo di resistenza nelle fabbriche facendo una decina di vittime. «Dovevo mettere fine al caos e riportare l’ordine», si è sempre giustificato Jaruzelski. In realtà agì per salvare non la Polonia bensì il regime.  La sua è una biografia tormentata e contraddittoria. Cresciuto in una famiglia di nobili origini, studente in una scuola cattolica, nel 1940 l’adolescente Wojciech insieme coi genitori viene deportato dai sovietici in Siberia. Conosce il lavoro forzato in miniera che gli procurerà danni irreparabili alla schiena e agli occhi. Ma, alla morte del padre, si arruola volontario nelle formazioni combattenti agli ordini di Mosca e abbraccia con entusiasmo la carriera militare fino a diventare il più giovane generale dell’esercito della Repubblica popolare polacca.È ministro della Difesa quando, nel dicembre 1970, la rivolta operaia di Danzica viene soffocata nel sangue. Dieci anni più tardi è chiamato dapprima alla guida del governo e poi a quella del partito, ma indossa sempre l’uniforme, quasi a volersi distanziare da un apparato inefficiente e corrotto. Dialoga con Solidarnosc ma intanto si prepara a introdurre la legge marziale.È ancora aperta la discussione se lo stato di guerra vada considerato un "male minore" che ha evitato la tragedia più grande dell’invasione sovietica. Ma lo stesso Jaruzelski ha ammesso nella sua autobiografia che da Mosca non vi è mai stata alcuna minaccia esplicita. Appare più verosimile la tesi contraria secondo cui Breznev, il leader del Cremlino che aveva mandato i soldati dell’Armata Rossa a Kabul, non voleva ripetere la disastrosa esperienza afghana, preferendo che fosse l’esercito di Varsavia a fare il lavoro sporco.In ogni caso il generale dagli occhiali scuri sarà ricordato non solo per quel che ha tentato di fare nel 1981 ma per quel che è riuscito a compiere nel 1989. Dopo aver constatato il fallimento della "normalizzazione", il leader dal pugno di ferro diventa infatti l’uomo della mano tesa: apre il dialogo con gli ex nemici di Solidarnosc, chiama tutti a una tavola rotonda e pone le basi per la grande svolta democratica che nell’agosto del 1989 vedrà la nascita di un esecutivo presieduto da Mazowiecki, primo capo di governo non comunista in un Paese del blocco sovietico. Inizia un cammino di libertà che porterà al crollo del Muro e alla caduta dei regimi comunisti nell’Europa dell’Est. Pur non avendo mai ripudiato il suo passato, Jaruzelski si è dichiarato pentito per le sofferenze imposte al suo popolo, dando infine ragione a Giovanni Paolo II con cui s’incontrò otto volte, in colloqui spesso burrascosi. «Aveva un atteggiamento intransigente ma al tempo stesso non si poteva non provare per lui una grande simpatia umana – è la testimonianza fornita da Jaruzelski al processo di beatificazione di Giovanni Paolo II –. Aveva messo in difficoltà il nostro sistema, dovevamo reagire. Mi vergogno per certe parole e certi atti, continuo a soffrirne e chiedo perdono: mi sono sentito accolto da lui, un grande santo che ha trovato tempo per me, grande peccatore».Gli ultimi anni della sua vita l’anziano generale li ha passati lottando con una grave forma di tumore. Anche Walesa aveva voluto fargli visita in ospedale e la foto della stretta di mano fra l’ex dittatore e l’ex sindacalista, entrambi con gli occhi lucidi per la commozione, resta il sigillo incredibile di un’epopea straordinaria. A causa della malattia i due procedimenti penali contro il generale per il massacro degli operai a Danzica nel 1970 e l’introduzione della legge marziale nel 1981 erano stati sospesi. «Lo giudicherà Dio», ha commentato ieri Walesa. Una cosa è certa: il rigido e impettito militare comunista ha saputo piegarsi ai venti di cambiamento della storia.
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