Sacra Famiglia, laicità e aborto: prova di dialogo con una senatrice
sabato 21 gennaio 2023

Elisa Pirro (M5s) tra i protagonisti dell’incredibile polemica contro l’icona esposta in un ospedale veneziano scrive e argomenta,dolendosi anche di una infernale invettiva ricevuta. Replico con una confidenza e qualche annotazione che i lettori già conoscono,ma che è forse utile richiamare

Gentile direttore,
ho letto l’articolo di “Avvenire”, in cui Marina Corradi mi chiama in causa e definisce assurda e stonata la polemica per la presenza del dipinto di una Sacra Famiglia all'ospedale civile di Venezia. Le spiego perché, dal mio punto di vista invece non lo è. Da cattolica spesso mi chiedo che cosa voglia dire esserlo in un Paese come l'Italia che non ha più una religione di Stato dal 1984. Essere cattolici vuol dire credere e sentirsi parte di una comunità, non certo imporre e strumentalizzare simboli religiosi per avallare il fanatismo religioso e prevaricare su chi la pensa diversamente: atei, agnostici, persone che professano altre religioni, oppure chi per scelte personali ha deciso di abortire. Di statue, quadri, simboli religiosi è pieno il nostro Paese, dalle Madonne del mare nei porticcioli alle Croci sulle vette delle montagne, proprio per quelle radici cristiane a cui lei fa riferimento e che certamente fanno parte della nostra storia. Ma è del tutto fuori luogo la presenza di un simbolo così forte all'ingresso di una stanza di un edificio pubblico in cui si stanno compiendo scelte individuali. Abortire è un diritto stabilito per legge ed è un diritto che spetta soltanto alle donne: ingerenze religiose, di uomini, di medici, di obiettori, di prelati sono profondamente irrispettose. Un'Italia davvero laica è certamente un'Italia più aperta, in cui ci si possa sentire a proprio agio in un ospedale, in una scuola, in un tribunale, nei seggi elettorali. Concludo dicendo che ieri ho ricevuto la mail di un vostro lettore che mi augurava l'inferno per quello che ho detto. È diventato dunque questo il cattolicesimo nel 2023? Mandare all'inferno chi la pensa diversamente? Un cordiale saluto.
Elisa Pirro, senatrice M5s



Lei, gentile senatrice Pirro, si è sentita libera da cittadina italiana, e da cattolica, di sostenere che la presenza in un ospedale di un quadro che rappresenta Maria, Giuseppe e il bimbo Gesù è «uno schiaffo alla laicità dello Stato». Un altro cittadino italiano, e presumibilmente cattolico come lei e come me, a quanto scrive si è sentito libero di augurarle l'inferno. Sono due iperboli sonore e dolorose. E mi fa piacere che lei oggi non ripeta quella sua espressione, che Marina Corradi le ha contestato con fermo e dolente garbo. Anche perché la laicità italiana non è (come altrove) “esclusiva”, ma è costituzionalmente “inclusiva” e valorizza i dati religiosi a partire da quello straordinariamente ricco del cristianesimo nella tradizione cattolica. Quanto all’altra espressione, all’invettiva che l’ha raggiunta, si consoli: succede anche a me di essere mandato all'inferno, con tonanti previsioni di fiamme e tribolazioni eterne, da lettori (più o meno casuali) un po' su di giri. Ma soprattutto si consoli pensando che a vedere le nostre intenzioni e tutta la nostra vita non è il primo che passa e che legge, ma è Uno che se ne intende, di umanità e di misericordia. La stessa umanità e misericordia che, assieme a un prezioso senso della bellezza della cura del corpo e dell’anima delle persone, hanno generato gli ospedali accanto e insieme alle cattedrali d’Italia e d’Europa. Cura offerta, non imposta.
L’aborto, per la vigente legge della Repubblica che una ricca giurisprudenza anche costituzionale illumina, non è un assoluto “diritto”, è una possibilità tragica e condizionata di scegliere tra la vita di una donna e quella della creatura che porta in grembo. E sempre nuove consapevolezze scientifiche sulla condizione e il valore della vita prima della nascita, princìpi di fede, obiezioni di coscienza (non solo di credenti) e impegni di concreto sostegno alla donna che giunge a questo bivio sempre drammatico tra vita e morte non sono manifestazioni di inimicizia contro nessuno. Ma sono realtà che la legge italiana sulla «Tutela sociale della maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza» contempla, assume e prevede, indicando anche un preciso (e troppo disatteso) dovere verso la donna: «Aiutarla a rimuove le cause che la porterebbero» all’aborto volontario. Perciò aspre caricature, come quelle evocate dalla sua lista degli «irrispettosi», sarebbe meglio evitarle. Così come la retorica della scelta libera e liberante. Ho scritto molte volte in questi anni di direzione di “Avvenire”, anche in dialogo con coloro che invitano a «smontare la 194» costi quel che costi, che l’obiettivo per tutte e tutti deve essere più che mai quello di «svuotarla del suo carico di sofferenza e di morte». Non sono un difensore della legge che depenalizza l’aborto in casi precisi e con modalità determinate, desidero che svanisca per sopraggiunta inutilità da vita buona e degna, e – facendo il mio lavoro – cerco umilmente e tenacemente di aiutare a “vedere” il bene possibile e necessario. Eppure, anche questo ha provocato gli infuocati malauguri di cui sopra. Mentre ricambio con cordialità il suo saluto, faccio un’ultima annotazione: lei e io, gentile senatrice, siamo cristiani e sappiamo che la famiglia di Nazareth ci mostra un uomo che sa stare accanto alla sua donna e al Figlio che lei ha generato, dicendo liberamente di sì a Dio. Scelte forti, pure e generose scelte di vita, che sovvertivano la logica del mondo di quella donna, Maria, e di quell’uomo, Giuseppe, concependo e accogliendo l’umanamente Inconcepibile. Scelte che sovvertono ancora la logica del mondo. Dove la morte è soluzione. Dove il sospetto si fa violenza. Dove gli uomini non sanno stare sempre con rispetto accanto alle donne. Molti però sì, e io spero domani più di oggi. Penso che davanti a quest’immagine, il «disagio» sia di chi non c’è, di chi non vuole esserci, accanto.



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