Incoscienze e presunzioni fanno guerra, ma tanti resistono. Che non si sentano soli
sabato 4 marzo 2023

Un amico missionario, ben conosciuto dai nostri lettori, condivide la sua preoccupazione. Lo capisco. Ma vedo il bene che accade grazie a tante e tanti. Siamo accanto e insieme, persone credenti e non credenti, accomunate dalla resistenza a tutte le propagande belliciste, ma anchedal coraggio di camminaree chiedere e fare la pace nella solidarietà con ogni vittima

Gentile direttore, saluti da Niamey, Niger!
Ci conosciamo ormai da vari anni e la franchezza ha sempre contraddistinto il nostro dialogo “a distanza”. Purtroppo, anche durante il mio ultimo soggiorno in Italia, tra fine luglio e inizio ottobre 2022, non c’è stata l’occasione di salutarci personalmente. Ne avrei profittato per dirti quanto mi ha amareggiato questo ritorno al “Paese natale”, dopo tre anni di lontananza geografica. Vivere nel Sahel di oggi, con quotidiane notizie di attentati, morti, sfollati, rifugiati e bambini, costretti a migliaia a fuggire nella paura e con le scuole chiuse per le minacce dei gruppi armati terroristi, è un’avventura dolorosa e sempre imprevista.
Il rapimento e il rilascio dell’amico padre Pierluigi Maccalli dopo oltre due anni di prigionia, l’abbandono di buona parte della “sua” gente della zona di radicamento per timore di rappresaglie e la migrazione in luoghi più “sicuri” costituiscono la trama del nostro quotidiano transitare in questa terra e su questa sabbia.
L’amarezza del ritorno a cui facevo riferimento, è legata a una duplice incoscienza ravvisata nel sentire comune di connazionali incontrati e, in particolare, dei mezzi di comunicazione: giornali, radio e tv. Certo, ho trovato, un’Italia che usciva con fatica e con una forte voglia di dimenticare dalla pandemia di Covid. Ma ciò non giustifica la duplice incoscienza a cui faccio riferimento. Incoscienza rispetto a quanto accade lontano da “noi”. Nel Sahel, anzitutto, di cui si parla solo se quel che avviene qui può avere una qualche influenza sul Mediterraneo e i movimenti migratori che lo segnano. E nella guerra tra Russia e Ucraina, tragedia altrettanto “lontana” se non fosse per le sanzioni che hanno rappresentato per tante persone un rischio, un fallimento, comunque un impoverimento per l’impennata dei costi dell’energia.
Mi ha colpito l’incoscienza della realtà della guerra, dell’effetto delle armi, dei morti e feriti, dei disagi. E, in contrasto, la trionfante e quasi allegra scelta di inviare armi, munizioni e soprattutto di mettere in circolo parole di guerra con spaventosa superficialità, come se si trattasse di qualcosa di etereo, di un gioco al computer o di una spettacolare serie tv. Parole violente, usate come pallottole che colpiscono e feriscono là dove sono indirizzate.
Voglio dire anch’io: basta! Basta con l’invio di armi in Ucraina. Basta con l’accettazione di basi militari atomiche (con bombe rinnovate) pure nel nostro Paese. Basta con la complicità attiva in una guerra nella quale non ci saranno vincitori ma solo immensi cimiteri di croci imbiancate di recente. Basta con la retorica delle “guerre di difesa” (legittime, dunque). Non ci sono più guerre legittime quando si uccide per vincere.
Chiamo in causa la Conferenza episcopale italiana, che si è d’altronde già espressa con chiarezza per un’azione di pace, il Consiglio delle Conferenze episcopali europee, la Conferenza episcopale degli Stati Uniti d’America, le organizzazioni ecumeniche e in genere tutti i credenti, a operare ogni pressione morale e politica utile e necessaria per mettere fine a questo obbrobrio. Bisogna spingere i belligeranti – la Russia, prima di tutto, e l’Ucraina – e i mandanti – in particolare, ma non solo, gli Usa – che conducono un’evidente guerra per procura, a smettere. Smettere la guerra, denunciandone la perversità. Smettere di usare il mondo per coltivare la tentazione di farne il loro regno.
Mauro Armanino, dalla sabbia e dal caldo di Niamey, nel Sahel

Gentile e caro Mauro, fratello e padre mio, i nostri lettori ti conoscono bene grazie al tuo “Diario irregolare” che ogni quindici giorni da più di sette anni appare sulle nostre pagine, ma accolgo con amicizia e condivisione anche in questa forma il tuo accorato e cristiano grido di pace dall’Africa. Scritto in quel Sahel dove vivi e semini il Vangelo, servendo la comunità cattolica e i più poveri, senza alcuna distinzione, ma anche – come spieghi – maturato nel contatto con la nostra di nuovo “bellica” realtà italiana ed europea. Una realtà che hai respirato, ascoltato e toccato nei mesi scorsi con una sensibilità acuita proprio dal lavoro missionario a cui continui a dedicare la tua vocazione sacerdotale, la tua umana esperienza e la tua mai smessa competenza di sociologo.
Sono d’accordo con te sul fatto che le incoscienze al pari delle presunzioni generano e aggravano i conflitti, ma nel mio lavoro di cronaca e grazie ai parecchi incontri pubblici avuti negli ultimi dodici mesi in tutta Italia ho una percezione in parte diversa dello stato dell’opinione pubblica della nostra Italia. Credo che tanti e tante abbiano avuto presto consapevolezza della gravità della deriva bellica in atto, della guerra d’Europa e della vagheggiata e premeditata nuova “guerra dei mondi” e delle conseguenze di tutto ciò e non solo sui bilanci attuali di famiglie, comunità e imprese ma sul futuro delle generazioni più giovani. Eppure, la sensazione amara alla quale tu dai voce è – ahinoi – ben presente. E ferisce anche me che ci vogliano decine e decine di morti davanti alle nostre coste, com’è accaduto in Calabria, perché ritroviamo un po’ tutti la coscienza dell’ingiustizia atroce rappresentata dai cammini di migrazione consegnati da regole inumane, slogan odiosi e risorse pessimamente indirizzate nelle mani di carcerieri cinici (in Libia come in Turchia) e di trafficanti senza scrupoli (per terra e per mare). Pure la lettrice con cui giovedì scorso ho dialogato in questo stesso spazio scriveva che consapevolezze e obiezioni non sono «mai abbastanza».
Ma ci sono. E su queste colonne, oltre a informare compiutamente, cerchiamo di non far “sentire sole” le persone che nutrono queste preoccupazioni, questi sentimenti e questi impegni. La cosa più bella che mi è stata detta in questo periodo così doloroso da chi cammina e dice e chiede e prega e costruisce la pace è proprio questa: «Grazie perché “Avvenire” non ci fa sentire soli». La sensazione di solitudine è, infatti, un effetto negativo reale e purtroppo amplificato dal clima politico-mediatico dominante che spinge a pensare la guerra come rimedio alla guerra.
Stiamo accanto e insieme, caro padre Mauro, a persone credenti e non credenti accomunate dalla resistenza a tutte le propagande belliciste, ma anche dal coraggio di manifestare per sostenere un ritorno alla politica, alla diplomazia e al diritto delle genti, dall’azione di solidarietà con le vittime ucraine dell’invasione, dalla comprensione della realtà russa e della faticosa ma coraggiosa opposizione all’ideologia del Russkij Mir putiniano e da uno sguardo profondo e realista sul complesso di cause, sui misfatti e sugli obiettivi che hanno acceso questa guerra e tengono accese le troppe altre che insanguinano l’umanità e che soprattutto (ma non soltanto) noi occidentali alimentiamo di armi, noncuranze e interessi economici e strategici.
Sono grato a ognuna di queste persone. Sono grato a te, che chiedi di più e di più dai. E sono grato al Papa e alla nostra Chiesa per la parola limpida di pace che continua a consegnare ai semplici e ai potenti.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI