«Guadagno bene, ma solo per il fisco sono uno degli italiani più ricchi»
sabato 25 settembre 2021

Caro direttore,
sono un marito e un padre di tre figli, due minorenni e uno diventato adulto da poco. Le scrivo perché vorrei porle un tema a me caro, quello degli aiuti economici alle famiglie, argomento centrale anche per il giornale da lei diretto. Penso all’assegno unico e alla riforma fiscale.
Sono dirigente di una piccola impresa, guadagno bene, e mia moglie porta un ulteriore contributo, pur se più contenuto. Ecco, c’è una cosa che non mi torna. Se guardo le classifiche delle dichiarazioni dei redditi risulterei nell’1% più ricco. È ben strano! Non abbiamo case di famiglia, sia i miei genitori che i miei suoceri sono persone modeste, non abbiamo patrimoni né grandi eredità sulle quali contare in futuro. Viviamo dei nostri soli redditi, mantenendo un tenore da persone semplici, con tre figli siamo riusciti a risparmiare qualcosa in previsione di eventuali spese per università o altro, ma non moltissimo: al massimo con questi soldi potremmo comprarci un monolocale come investimento. Ci riteniamo fortunati, ma qualcosa non torna. Acquistare un’auto nuova per la famiglia sarebbe una spesa che comunque ridurrebbe molto i nostri risparmi; tre settimane di ferie, in campeggio o in appartamento affittato, è il massimo che possiamo fare, di “settimane bianche” non ne parliamo. Viviamo nella periferia più periferia di Milano, e non in una casa da esibire; i nostri figli fanno solo scuole statali. Ma allora, che cosa non funziona (o funziona troppo) per lo Stato? Forse in famiglia spendiamo troppo in libri? Troppi corsi di musica? O dare opportunità educative è un errore? Certo, ci sono molte persone in condizioni peggiori, ma, mi creda, faccio fatica a pensare di far parte dell’1% più ricco d’Italia! Cioè di quella categoria che non avrebbe diritto, a quanto leggo, né all’assegno unico per i figli, né a particolari sconti fiscali, e che dovrebbe essere tassato ancora di più, a quanto si dice e si scrive.
Leggendo “Avvenire” ho scoperto che sopra i 75mila euro di reddito lordo in Italia c’è solo il 2,5% dei contribuenti. Ma cos’è? Uno scherzo? Dov’è allora la ricchezza che vedo esibire attorno a noi? Forse è nell’evasione fiscale? Forse nei tanti immobili comprati dopo aver evaso o che sono stati ereditati e poi messi a rendita? Forse nei patrimoni familiari? Forse nelle scelte di aver avuto meno figli? Se così fosse – e sono sempre più persuaso che sia così – perché continuare ad accanirsi sull’Irpef e non incominciare a tassare un po’ di più le rendite, i patrimoni, le successioni, gli immobili dopo la prima casa... e via dicendo, alleggerendo un po’ il carico su chi vive solo del proprio reddito, costruisce e investe sul futuro? Perché vede, caro direttore, come dirigente, di certo guadagno anche qualcosa in più della media, ma molti dimenticano che il mio ruolo di responsabilità non mi permette di avere molto tempo libero, a differenza di altre categorie (già: e se tassassimo il tempo libero?), e oltretutto potrei sempre rischiare di perdere ancora il posto di lavoro da un momento all’altro, come è avvenuto molti anni fa e come spero per i miei figli non mi accada più. Mi piacerebbe sapere come la pensa.
Marcello Colletti


Le ho riservato la maggior parte di questo spazio di dialogo, caro amico, perché la penso come lei. E come Ernesto M. Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate, che il 21 settembre, nel giorno di san Matteo, patrono degli esattori, ha affidato alle nostre pagine una splendida riflessione sul dovere dell’onestà fiscale ( clicca qui per leggerla ). Per tutti i cittadini, e soprattutto per i cristiani. Questa piena concordanza – la linea di “Avvenire”, del resto, è di assoluta chiarezza – forse lei la immaginava già, mentre scriveva la sua sacrosanta lettera-sfogo. Aggiungo, per l’ennesima volta, una sola sottolineatura alle sue che cominciano con quella di un fisco davvero amico della famiglia, ma non si fermano lì. Credo che sia giusto insistere con forza sul tasto (e sul sistematico contrasto) dell’evasione (e dell’elusione) sul quale la sua argomentazione ha moderatamente indugiato. Capisco, sia chiaro, anche i contro-sfoghi di chi inveisce contro l’eccessiva pressione fiscale. E sono un ferreo assertore del dovere dello Stato, cioè di quanti tra noi lo rappresentano e agiscono nella pubblica amministrazione, di spendere ogni centesimo dei nostri tributi con rigore e senza sciupii (una volta si chiamava la diligenza del buon padre di famiglia, ma a me è sempre piaciuto parlare anche della saggia, e quasi miracolosa creatività, delle buone madri di famiglia). D’accordo, purché ci si decida ad ammettere che siamo davanti a un cane che si morde la coda... Se la pressione è alta (e tanti pagano tanto), è soprattutto perché qualcun altro (sempre troppi) fa, ingiustamente, di tutto per non sopportarla. Pagare tutti, pagare meno, rimane cioè un modo di dire. E così c’è un buon numero di persone assolutamente normali, decorosamente benestanti, che si ritrovano ufficialmente a esser i “ricchi” del Bel Paese o a essere catalogati come titolari di stipendi e pensioni “d’oro”, mentre l’oro vero viene occultato con destrezza... Insomma: l’evasione è un furto e un tradimento perché il suo effetto più duro è sulle spalle e sulle tasche dei cittadini onesti, che pagano una quota maggiorata per il mantenimento dei servizi pubblici anche per chi ne usufruisce, ma non contribuisce secondo le sue possibilità e il suo dovere. La pandemia dovrebbe anche averci fatto capire meglio quanto grave sia tutto questo.

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