«C'era una volta la democrazia...». E c'è ancora. Ma va fatta viva e giusta
sabato 9 gennaio 2021

Caro direttore,
lo so che sembra impossibile dire la verità in silenzio (grazie a Marina Corradi per la sua riflessione di venerdì 8 gennaio, in “Un silenzio sovversivo”). Così mi sembra più semplice e concreto “fare la verità”, in silenzio, necessariamente, perché se “fai verità”, non hai tempo per chiacchierarne. Ce l’ho in testa e in cuore dalla fine di una mia preghiera mattutina (la trova qui -clicca- : , ma non mi faccia pubblicità…), da quando mi è diventato chiaro che i “selvaggi di Trump” sono un fenomeno ben radicato in quel costume umano che porta a non occuparsi delle cose che contano. A iniziare da chi ha disagi evidenti e nessun aiuto in amore, come l’umano cornuto dell’assalto a Capitol Hill, il Campidoglio d’America. Da buon borghese, progressista e cristiano, mi sono indignato. Ma Gesù, con la sua amorevole e affettuosa ironia (che lei conosce, ne son certo), mi ha chiesto di occuparmene, io stesso. Ci proverò, anche se ignoro come. Sicuramente iniziando a non indignarmi e a non lavorare con troppe bilance, tutte diverse. Anche perché ho in testa e nel cuore, sempre più forte, la vista di un episodio del mio futuro, e proprio non mi piace: io, vecchissimo, perché punito nei miei peccati dal ritardo della morte personale, a cui bambine e bambini chiedono, gridando e schiamazzando: «Zio Raffa, ci racconti ancora la storia della democrazia?». Auguro un buon anno in Cristo Gesù, a lei, alla sua redazione, a chi altro lavora nel giornale, a chi amate.
Raffaele Ibba, Cagliari


Mi perdoni, caro professor Ibba, se – volente o nolente – le faccio un po’ di “pubblicità” anche solo mettendo in pagina, su carta e sul web, questa lettera (con il link alla sua cristiana preghiera). Mi piace il suo amore per la verità che si può anche “dire”, ma soprattutto si deve “fare”. Mi piace il suo modo di interiorizzare il «non giudicate e non sarete giudicati» (Lc 6, 37) e di tradurlo con quel «non lavorare con troppe bilance, tutte diverse» (anche se sono uno che, per mestiere, rifugge dai pregiudizi ma non dai giudizi, quelli che non sono sinonimo di sentenze). Mi piace il suo richiamo all’«affettuosa ironia» di Gesù (e penso che sarebbe piaciuto al cardinal Biffi e piacerebbe al professor Cacciari). Dà invece i brividi anche a me l’incubo di un futuro nel quale a superstiti «vecchissimi» (e nati, come me e lei, intorno alla metà del Novecento) verrà magari chiesto dai nipotini e dalle nipotine di raccontare come favola la «storia della democrazia», che probabilmente – lo diceva Churchill – non è il peggiore dei sistemi possibili, ma che soprattutto è la “casa” dove far convivere e, con umanità e realismo, conciliare indoli, ideali e fedi differenti.
Le favole, si sa, raccontano sempre di un tempo passato, e s’iniziano in modo imperfetto, con quel fatidico “c’era una volta...”. Tranne alcune, che subito rincuorano annunciando “c’era una volta, e c’è ancora...”. Ecco, mi piace pensare bene, e pensare che bene o male – mentre ci inoltriamo in questo già tumultuoso terzo decennio del XXI secolo – riusciremo a «fare vera» una realtà di libertà, di responsabilità, di partecipazione e di “progresso dei popoli”. Una realtà da sentire propria e per cui essere sereni e fiduciosi. Penso e spero che riusciremo, cioè, nonostante che l’attacco sia violento e non venga da una sola parte, a consolidare qui, in Europa, nelle Americhe e in tutto il mondo l’essenziale delle conquiste vagheggiate, maturate e difese nei nostri verdi anni. Dobbiamo però spenderci senza avarizia perché la vita buona e una buona democrazia resistano alle insensate ridde, riffe e risse scatenate dai signori dell’illibertà e delle falsità travestite da «fatti alternativi», del cattivismo vittimista, del suprematismo d’ogni risma. E non dobbiamo sottovalutare nessun rischio perché vita buona e buona democrazia vincano, ancora e ancora. La sfida, infatti non finirà mai, sino all’ultimo degli umani giorni, sino a quando, per qualunque motivo, ci sarà anche solo una persona sfruttata, mortificata, esclusa. Mantenere viva e fare sempre più giusta la democrazia dipende da noi, non da un qualche destino cinico e baro. Dipende dall’onestà, dalla forza morale, e anche – lo sa bene chi crede – dalla preghiera e dall’amore di cui siamo e saremo capaci. Soltanto chi pensa che questa sia retorica è già sconfitto e arreso. Lei no, e neppure io. Ricambio con gratitudine il suo augurio.


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