Il bollettino della gente
sabato 15 gennaio 2022

Due milioni e quattrocentomila «attualmente positivi» significa che ogni 26 italiani ce n’è uno malato di Covid. E va bene che la grande maggioranza ha sintomi lievi, o addirittura neppure si accorge della patologia, ma quasi 18mila sono in ospedale (e 1.700 in terapia intensiva). In altre parole, col virus non si scherza, neppure adesso che l’81% dei casi porta le impronte digitali di Omicron, la variante enormemente diffusiva e però meno gravosa al punto da farsi la fama di 'simil-raffreddore', quasi a voler sembrare non uno spietato nemico ma uno di famiglia. Un’accettabile seccatura.

I numeri tuttavia non dicono ancora quel che tutti stiamo percependo: il Covid non è più un’ombra incombente della vita collettiva ma una presenza direttamente avvertita da un grandissimo numero di persone che sinora si erano ritenute bene o male al riparo dal contagio. Invece no: non passa giorno senza nuove segnalazioni di parenti, amici, colleghi di lavoro, frequentazioni di scuola, sport, parrocchia e quartiere visitati dall’invisibile ospite. Un 'bollettino sociale' che si sovrappone a quello ufficiale con la forza persuasiva di nomi, volti, storie, e poi richieste ansiose sulla salute, ricostruzioni di contatti più o meno stretti, conteggio di giorni di potenziale incubazione. La comunità nazionale è percorsa da uno stato di inquietudine senza precedenti, un allarme condiviso che insidia una normalità che abbiamo cercato di ricostruire con gran fatica, sino a crederci già usciti dal buio più fitto (era solo un mesetto fa, ricordate?). È con questo delicatissimo dato psicologico di vulnerabilità di massa che deve fare i conti chi oggi ragiona di cambiare la contabilità dei report giornalieri e delle categorie che ne fanno parte, dai positivi ai ricoveri.

Informare, sì, ma come?

La novità rilevante di questa nuova fase della pandemia è infatti che a un gran numero di 'sinora sani' il virus si è all’improvviso palesato in casa, mettendo di fronte per la prima volta al contagio in presa diretta. Non sono più 'gli altri' a dirci che siamo dentro un incubo collettivo, ma spesso stiamo sperimentando in prima persona il contagio o il suo ampio alone, con l’ingombrante corollario di tamponi, quarantene, auto-sorveglianze, ricerca di medici, consigli, farmaci, e poi certificazioni di inizio e fine isolamento, per non parlare di Green pass e turni di vaccinazione. Una combinazione di competenze che oggi ciascuno di noi è chiamato ad avere per non sentirsi smarrito, o rifiutare in blocco la realtà, come seguita a fare una quota (calante) di diffidenti, timorosi o semplicemente ostinati.

In questo esordio di nuovo anno, il Covid sta diventando un’esperienza nazionale, popolare, diffusa e condivisa molto più di quanto sia stato sinora, esponendo tutti allo stesso momento e in ogni angolo del Paese alla medesima percezione di fragilità, incertezza, sospensione. Stiamo trattenendo il respiro, un’apnea collettiva sulla quale scendono ogni giorno i dati sempre più rotondi del report su contagi, tamponi, ricoveri e decessi come una pioggia di numeri che ormai potremmo risparmiarci – ora è la nostra vita reale che ci sta dicendo quanto la situazione sia difficile –, ma che ci sono indispensabili per capire che siamo tutti dentro la stessa storia: un romanzo popolare che sgomenta per le sue dimensioni e che proprio per questo richiede il recupero di un senso. Perché è di questo che viviamo, non certo dell’apparente casualità di eventi indecifrabili.

Non è mai stato evidente come adesso che i milioni e le migliaia della contabilità quotidiana sono tutt’altro che entità astratte ma hanno il volto di persone reali, siamo noi, c’è dentro il figlio e l’amico, la moglie, il vicino, il parente. Questa consapevolezza ormai incisa nella carne della gente non si rimuove omettendo i numeri per limitarli a una relazione settimanale, quasi non fossimo più in grado di reggere tanto stress emotivo, ma si affronta con il massimo della trasparenza e della chiarezza, squadernando con coraggio proprio adesso più capacità che mai di spiegare e offrire una ragione a tutto quel che accade. Quanto più il virus chiama in causa la vita delle persone, vestendo persino i panni di 'due linee di febbre', tanto più le voci delle istituzioni e della scienza devono sentirsi responsabili di offrire un orizzonte collettivo nel quale trovare informazioni e risposte. La realtà non si rimuove o si edulcora, mai, nemmeno con le migliori intenzioni: è imparando ad affrontarla in modo sincero e leale che cresce la speranza concreta che ne usciremo, una buona volta. Tutti insieme.

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