sabato 25 maggio 2013
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I fatti di Londra, con la barbara uccisione per strada di un militare, ci hanno colpito per la loro crudezza. In questi stessi giorni Stoccolma è vittima di violenza da parte di giovani in una periferia caratterizzata da un’elevata percentuale di residenti stranieri. Queste manifestazioni sembrano appartenere a un filone comune di eventi che hanno segnato diverse città europee negli ultimi anni e che hanno fatto parlare di un ritorno al «terrorismo domestico», per quanto spesso arricchito da richiami a una matrice internazionale e religiosa. In virtù della sua diffusione, il fenomeno era stato da tempo interpretato da molti osservatori come una delle principali minacce alla sicurezza dei Paesi sviluppati. Il rapporto sul terrorismo dell’Institute for Economics and Peace riporta che dal 2001 al 2011 vi sono stati 910 eventi classificabili come «terrorismo» per i soli Paesi dell’Europa occidentale, oltre a un aumento delle manifestazioni classificate come crimine violento. La violenza che minaccia la nostra sicurezza non proviene dunque dall’esterno, ma prende forma e si manifesta sempre di più all’interno dei nostri Paesi. Fattori associati a questo sono molto spesso la giovane età dei protagonisti e le difficili condizioni economiche: c’è una netta e quantificabile relazione tra la disoccupazione giovanile e l’aumento delle diverse forme di violenza. In un saggio di alcuni anni fa avevo stimato per i Paesi europei che se il tasso di disoccupazione giovanile fosse aumentato dell’1% si sarebbe potuto prevedere un aumento equivalente della violenza politica e del terrorismo. La misura è ancora più marcata in Paesi a livelli di sviluppo meno elevati. In uno studio più recente riferito all’Italia, un aumento del tasso di disoccupazione giovanile dell’1% è risultato associato a un aumento del crimine violento del 10%. La crisi economica del 2008 ha evidentemente accresciuto il rischio per le nostre società. Nelle sole economie sviluppate, tra il 2008 e il 2012 il numero dei giovani disoccupati è aumentato del 25%. Nel contempo, a causa del credit crunch (il collasso del credito) nuove giovani imprese non sono riuscite a vedere la luce.
La disoccupazione e l’impossibilità di sviluppare una sana imprenditorialità giovanile rischiano di divenire il motore di diverse forme di violenza. Inoltre, se le condizioni economiche sfavorevoli alimentano comportamenti distruttivi, questo è tanto più vero quando vittime del declino e della stagnazione economica sono i giovani che hanno conseguito un titolo di studio. Questi, in particolare, sentono di avere acquisito strumenti e conoscenze adeguati per divenire lavoratori o imprenditori più produttivi e si percepiscono in grado di realizzare i propri sogni e le proprie aspirazioni professionali. Nel momento in cui ambizioni e aspettative superiori non sono rispettate, gli individui si sentono privati di un futuro e la rabbia e il dissenso possono evolversi più facilmente in forme di violenza.
La relazione tra livelli di educazione e violenza politica – a parità di altre condizioni – è stata dimostrata vera sia per gli Stati Uniti sia per i Paesi in via di sviluppo. In breve, i giovani intendono vivere un futuro in cui il loro "spirito animale" sia in qualche modo concretato e rappresentato. Non sono la povertà o il disagio economico in sé a spingerli a reazioni violente, ma piuttosto la sensazione di aver visto i propri sogni naufragare per colpe non proprie e quindi di essere stati beffati e infine dimenticati. Non a caso questi sentimenti emergono principalmente tra le comunità etniche di seconda generazione che percepiscono la loro esclusione dalle opportunità economiche in maniera ancora più marcata e nei confronti dei quali una compiuta integrazione appare piuttosto come una promessa non mantenuta. In questo contesto, gli estremismi politici di qualsiasi colore e ispirazione divengono facili armi da brandire contro l’ordine costituito o contro chi lo rappresenta. Londra chiama, quindi, non a spettacolari e muscolari azioni di polizia, ma a politiche economiche che disarmino questa "bomba" di giovani generazioni che si sentono tradite e umiliate.
Combattere la disoccupazione giovanile deve divenire la priorità da affiancare con pari dignità alle misure di stabilità macroeconomica perseguite negli ultimi anni. L’annuncio che il Consiglio Europeo affronterà tale tema è sicuramente una buona notizia, ma è necessario fare presto. Abbiamo la necessità di politiche economiche che favoriscano l’occupazione, e soprattutto l’imprenditoria giovanile, attraverso nuove forme di accesso al credito. Solo favorendo il dispiegamento delle più motivate forze produttive potremo, tra l’altro, ritornare su di un percorso di sviluppo sostenibile e duraturo. Riconoscere questa priorità significa anche restituire speranza, ma soprattutto dignità e valore al lavoro inteso come espressione della capacità creativa e produttiva di donne e uomini inseriti in una comunità. Se viceversa si vorrà ulteriormente ignorare questo aspetto, il futuro di pace e benessere a cui tutti aspiriamo per le nostre società potrebbe risultare compromesso.
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