lunedì 28 novembre 2011
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Se domani davvero ci sarà il voto (il con­dizionale è d’obbligo in una vigilia e­lettorale incerta e segnata dal sangue), si tratterà comunque di una giornata stori­ca per gli egiziani. La maggioranza di lo­ro infatti non si è mai recata alle urne. Le elezioni–farsa che si tenevano sotto il tren­tennale regime di Mubarak, periodica­mente riconfermato presidente a stra­grande maggioranza, hanno sempre regi­strato un’affluenza molto bassa, non oltre il 20 % degli aventi diritto. Basti pensare che al referendum costituzionale di mar­zo tutti gli osservatori gridarono al mira­colo di fronte ad una partecipazione del 35 %! Sarà dunque fondamentale, prima ancora del responso che uscirà dalle ur­ne, la scelta che faranno i cittadini del Cai­ro, di Alessandria e di altre città chiamati ad eleggere il Parlamento del più impor­tante Paese arabo. Se riusciranno a farlo e si metteranno pazientemente in fila per compiere il loro diritto–dovere, sfidando il clima d’insicurezza e di tensione, vorrà dire che la volontà di cambiamento l’ha a­vuta vinta sui dubbi, sulle ansie e sulle paure di fronte a un procedimento elet­torale complicatissimo e farraginoso che si trascinerà per quattro mesi. Un percorso a ostacoli, un labirinto intri­cato, un vero e proprio rompicapo che so­lo una burocrazia militare ottusa e inca­pace come quella che governa attual­mente l’Egitto poteva disporre. I giovani che in quest’ultima settimana sono tor­nati in piazza Tahrir chiedendo di annul­lare o almeno rinviare il grande rito del suffragio universale messo a punto dal Consiglio supremo delle Forze Armate a­vevano più di una buona ragione. La loro protesta contro gli uomini con le stellette guidati dal feldmaresciallo Tantawi ha pa­gato un alto tributo di sangue che ha esa­sperato ancor più gli animi. Ma tra il voto e il vuoto è preferibile il pri­mo. Sulle rive del Nilo la democrazia so­gnata a febbraio dopo la caduta del raìs vi­ve una difficile gestazione, frenata conti­nuamente dalla giunta militare che solo sotto la pressione delle recenti manife­stazioni di piazza ha fissato una data per le elezioni presidenziali, nel giugno del 2012, e ha dato il via alla formazione di un nuovo governo consultando anche gli e­sponenti dell’opposizione. Ma è difficile immaginare un suo passo indietro. Da ol­tre mezzo secolo l’Egitto è una società do­ve comanda l’esercito il cui bilancio va ol­tre gli scopi difensivi e si estende a un ra­mificato apparato commerciale–indu­striale. Tutto questo continua a esistere anche dopo la destituzione di Mubarak, anzi in un certo senso la fragorosa cadu­ta del raìs ha creato il terreno favorevole alla gestione diretta del potere da parte dei militari. Il processo elettorale che dovrebbe co­minciare domani segnerà il ridimensio­namento del ruolo politico delle Forze Ar­mate. Ma l’esito del voto prefigua scena­ri non meno inquetanti: tutti i sondaggi prevedono la vittoria degli islamisti, co­me già due settimane fa in Tunisia e ieri in Marocco. La primavera araba è desti­nata a finire nell’inverno rigido dell’inte­gralismo? Le rassicurazioni dei Fratelli Musulmani, che hanno stretto un’inte­ressata alleanza coi militari, dovranno su­perare la prova dei fatti, ma c’è chi vor­rebbe evitare un simile test ad alto rischio. Sono i copti che chiedono il pieno rispet­to della libertà religiosa e la fine delle per­secuzioni, i giovani della “rivoluzione in­compiuta” che esigono libertà e demo­crazia, i laici che rifiutano uno Stato isla­mico fondato sulla sharia. E’ di fonda­mentale importanza che non solo faccia­no sentire la loro vo­ce sulle piazze ma sappiano farsi valere anche nelle urne.
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