venerdì 15 dicembre 2017
La diplomazia parallela dello spazio non ha confini
L'astronauta Paolo Nespoli nella stazione spaziale internazionale

L'astronauta Paolo Nespoli nella stazione spaziale internazionale

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L’Agenzia spaziale degli Emirati Arabi Uniti intende collaborare con Roscomos, l’Agenzia spaziale russa. L’annuncio, dato nel novembre 2017 dal capo di Roscomos, Igor Komarov, è passato in sordina, come spesso avviene per le buone notizie. Scopo della collaborazione sarà l’invio di astronauti arabi alla Stazione spaziale internazionale (Iss) per il 2021 o 2022. La buona notizia consiste nel fatto che si aggiunge un nuovo tassello a quel grande mosaico internazionale che è l’esplorazione spaziale, un 'luogo' in cui da molti anni opera una specie di diplomazia parallela. Paesi che pure si affrontano e scontrano in altri campi, lassù, oltre i limiti del visibile, oltre i confini del nostro piccolo pianeta, nella vastità dello spazio, da tanti anni ormai hanno superati i confini e le differenze di religione, lingua, razza, cultura, identità, nel nome di una collaborazione per un interesse comune che tutti sanno essere più importante: penetrare l’ignoto, procedere nella conoscenza dell’universo.

Fu a metà degli anni Settanta che lo sceicco Zayed bin Sultan Al Nahyan accolse negli Emirati una squadra di astronauti impegnata nel progetto Apollo e aprì il sogno che anche un Paese arabo potesse unirsi all’impresa. Era l’epoca in cui, pur mentre ferveva la guerra fredda, Stati Uniti e Unione Sovietica compivano la loro prima missione congiunta. Questa fu il coronamento di una lunga quanto travagliata marcia di avvicinamento. L’intenzione di collaborare c’era, da tempo, mancavano però i fatti. Già a metà degli anni ’50, nell’ambito dei preparativi per l’Anno geofisico internazionale (IGY) molti scienziati americani e sovietici avevano espresso il desiderio di collaborare nello spazio. Il desiderio persistette, ma prevalse la competizione: riuscire a mettere un satellite in orbita significava da un lato dimostrare al mondo di possedere una superiorità tecnologica e dall’altro di esercitare il privilegio di spiare il nemico meglio di quanto non si potesse fare con strumenti convenzionali. Com’è noto nell’ottobre 1957 i Sovietici furono i primi a lanciare un satellite artificiale, lo Sputnik.

A conseguenza di questo, l’anno successivo il Presidente statunitense Ike Eisenhower fondò la Nasa (National aeronautics and space administration), l’ente preposto all’esplorazione spaziale. Nell’atto costitutivo si indica che i suoi intenti sono civili, non militari e si manifesta l’auspicio di operare in collaborazione con altri Paesi e in specifico con l’Unione Sovietica. Lo stesso ribadì il Presidente J.F. Kennedy nel suo primo discorso sullo Stato dell’Unione, il 30 gennaio del 1961: «Invito tutte le nazioni, inclusa l’Unione Sovietica, a unirsi a noi per preparare satelliti per le comunicazioni e per avvicinarci a pianeti come Marte e Venere, e così scoprire i segreti dell’universo». Kennedy evidenziava che se l’URSS era più avanti nella tecnica dei veicoli spaziali (non a caso nell’aprile di quell’anno il sovietico Yuri Gagarin fu il primo uomo a orbitare attorno alla Terra), gli USA avevano capacità scientifiche superiori. E già nel dicembre di quell’anno il presidente sovietico Nikita Chruscev dovette scrivere a Kennedy per congratularsi per la riuscita del primo volo orbitale di John Glenn, che aveva posto gli USA sullo stesso piano dell’URSS. C hruscev accennò alla possibilità di collaborare. Ma la guerra fredda incalzava: nell’agosto ’61 fu eretto il Muro di Berlino, segno principe della divisione del mondo in 'blocchi'. E l’anno dopo, il 12 settembre 1962 Kennedy nello stadio della Rice University lanciò la sfida: gli USA avrebbero dovuto essere i primi a raggiungere la Luna: «Alziamo le vele in questo nuovo mare perché inseguiamo nuovi conoscimenti: dobbiamo conquistarli e usarli per il progresso di tutti i popoli». Implicitamente diceva che se i sovietici avessero prevalso, questo avrebbe comportato un grave rischio per l’umanità. E insieme al tema strategico, dominava quello della 'Nuova frontiera': «Scegliamo di andare sulla Luna perché è difficile, non perché è facile; perché questo darà la misura delle nostre capacità. È una sfida che vogliamo vincere...». Poche settimane dopo, nell’ottobre ’62, avvenne la crisi missilistica di Cuba.

L’esplorazione spaziale rimase oggetto di competizione. E vinsero gli USA: il 20 luglio 1969 Neil Armstrong compì quel «grande passo per l’umanità» ponendo piede sulla Luna. Che nel giro di tre anni fu raggiunta da sei missioni di astronauti della Nasa, mentre già lo spazio orbitale si andava riempiendo di satelliti spia, per le comunicazioni, per i rilevamenti e varie sonde viaggiavano nello spazio profondo: la Mariner raggiunse Marte e cominciò a mapparne la superficie dall’alto. E se i Sovietici non stavano a guardare, e le missioni orbitali Soyuz continuavano, v’era anche la consapevolezza che la guerra fredda non doveva arrivare fuori dalla Terra. Già nel 1967 Usa e Urss avevano firmato un Trattato sui principi che dovevano governare l’esplorazione e l’uso dello spazio, della luna e di altri corpi celesti. Finalmente nel ’72 - mentre ancora infuriava la guerra in Vietnam - le due superpotenze decisero che sarebbe stato meglio, più sicuro e più economico, che nello spazio andassero assieme. Tale decisione si tradusse nella prima missione spaziale congiunta: il 17 luglio 1975 una navicella Apollo e la capsula orbitante Soyuz si unirono e gli equipaggi dell’una passarono nell’altra. Quattordici anni e mezzo prima che cadesse il Muro di Berlino, nello spazio cadeva ogni frontiera. E cominciava l’era della collaborazione. Questa avrebbe portato nel giro di alcuni anni, e con intensità tanto maggiore dopo il disfacimento dell’Urss nel 1991, alla Stazione spaziale internazionale (Iss), per costruire la quale sono stati assemblati nel tempo moduli russi, americani, europei, giapponesi: l’Iss è il più importante esempio di opera congiunta a livello internazionale mai realizzata, nel mondo e nella storia.

Vi si compiono in continuazione esperimenti scientifici in condizioni di microgravità; vi si alternano astronauti e visitatori da decine di Paesi anche non direttamente coinvolti nella sua gestione (come Brasile, Malesia, Sudafrica, Corea del Sud). Com’è noto l’astronauta italiano Paolo Nespoli è tornato ieri sulla terra dopo 139 giorni passati a bordo dell’Iss per la sua terza missione. Si prevede che l’Iss completi il suo ciclo operativo tra alcuni anni. Ma l’esplorazione spaziale e la collaborazione internazionale continueranno. Guardando verso Marte. Anche l’India e la Cina da tempo si stanno muovendo in questa direzione e tanti altri Paesi anche tra i più piccoli, come gli Emirati Arabi Uniti, intendono unirvisi. Come disse Kennedy cinquantacinque anni fa, «lo spazio può essere esplorato e conquistato, senza alimentare il fuoco della guerra, senza ripetere gli errori che l’essere umano ha compiuto nel diffondere gli ordinamenti propri in giro su questo mondo...».

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