Fisco e imprese, interessi tutelati. L'azzardo mette da parte la salute
giovedì 27 aprile 2023

Passato il ponte della Liberazione e quello del Primo Maggio, il Parlamento avvierà l’esame della legge di delega per riformare buona parte delle norme fiscali. Un articolo, il numero 13, prevede che l’Esecutivo cambi importanti regole anche per i «giochi» (senza aggettivo o specificazione). Si tratta in effetti dell’azzardo statale. Ma nove anni e più sono trascorsi dai precedenti sforzi, falliti, di regolare con legge una partita che nel 2014 si aggirava sugli 85 miliardi e mezzo di euro, mentre nel 2022 ne ha segnati (dati ufficiosi) 135, ovvero quasi il 60% in più.

Dunque, il governo chiede il mandato a sistemare la materia con un decreto delegato. Nel 2015 vi fu il nulla di fatto del governo Renzi: dopo mesi si arrivò alla scadenza senza approvare. E due anni dopo (settembre 2017) andò a monte anche l’operazione di fissare alcune regole, passando per la Conferenza delle Regioni. Eppure, il tempo trascorso non ha mancato di novità importanti. Se ne tiene conto nella impostazione attuale? Limitiamoci alle quattro questioni capitali: salute, erario, profitto dei concessionari, sicurezza pubblica. Su tutto ciò ecco in breve cos’è è cambiato tra il 2014 e oggi, in fatto e in diritto.

Sono un fatto l’inarrestabile exploit del consumo di azzardo, il boom delle patologie, le molte decine di indagini penali sull’occupazione mafiosa dei territori dei giochi. Come pure, fatti i conti, la caduta netta dei ricavi erariali: nel 2013 incassò il 9,55% delle somme giocate (ovvero 8 miliardi e 179 milioni di euro). Nel 2021 lo Stato si è fermato a poco meno di 7 miliardi e mezzo. Passato il Covid, nel 2022 (calcoli in corso) dovrebbe appena aver superato gli 8, sempre di miliardi di euro. La percentuale è scesa di 2,3 punti rispetto a dieci anni addietro. Perché?

È mutata l’alchimia dell’azzardo, si va imponendo la valanga di scommesse online: ormai 7 euro su 10 si puntano dal computer o dallo smartphone. Il balzo è sconcertante, se nel 2013-14, l’80% di quel che si versava era canalizzato in 250mila installazioni fisiche nelle città (sale giochi, esercizi pubblici, ricevitorie di scommesse, ecc.). Lo Stato incassava, con tale ripartizione, parecchio dalle lotterie e affini nelle città, e piccole somme dai casinò virtuali. La pubblicità all’azzardo saturava tv e giornali e irrompeva nelle partite di calcio e di altri sport. Annunci e jingle piovevano come bombe d’acqua su tutta la platea di spettatori televisivi, persone in prevalenza di mezza età e anziane, mentre uomini maturi e giovani scommettevano sugli sport, nelle slot machine vi era la parità di ambo i sessi. Agli apparecchi automatici nei bar e nelle lotterie i principali clienti erano anziane e anziani: in particolare nel giorno dell’incasso della pensione. Ma gli azzardi coinvolgevano anche i ragazzi (compresi ben 700mila minorenni, secondo l’Istituto superiore di Sanità).

Anche “in diritto” non sono mancate le innovazioni. Dopo il decreto del 2012 dell’allora ministro della Salute, Renato Balduzzi, era necessario attivare le cure per i malati d’azzardo. E al Servizio sanitario nazionale è toccato di provvedere. Cinque anni dopo, cioè nel 2017, i nuovi Livelli essenziali d’assistenza lo hanno sancito. Molte Regioni hanno varato leggi specifiche, quasi quattrocento Comuni hanno deliberato regolamenti per limitare l’impatto negativo. Riuscendovi, in alcuni casi. Come, ad esempio, in Lombardia e in Emilia-Romagna, in Comuni medio grandi, quali Bergamo, e più piccoli, come ad Anacapri.

E che dire della pubblicità? Sono quattro anni che è stata abolita, mentre con tutta la sua autorevolezza la Commissione parlamentare antimafia nella XVII e nella XVIII legislatura ha documentato lo straripamento criminale anche nel comparto dei giochi di Stato. Infine, l’Osservatorio sul gioco d’azzardo, organismo consultivo del ministro della Salute, il 2 dicembre scorso ha approvato una risoluzione che fissa, tra l’altro, la gerarchia dei valori giuridici. Essa è lineare: in primo piano sta il diritto alla salute (articolo 32 della Costituzione), segue l’interesse pubblico alle entrate fiscali e, infine e perciò in subordine, le aspettative dell’impresa privata dei concessionari di lotterie e scommesse.

Nell’articolo 13 della legge delega attuale si codifica esattamente l’inverso: secondo quel che il governo propone, gli investimenti delle holding dei concessionari vanno garantiti, il gettito fiscale non deve variare, e la salute va promossa, “compatibilmente” con fisco e profitto privato. Ecco la perla: «Contemperamento degli interessi pubblici generali in tema di salute con quelli erariali». Si legge proprio così, l’art. 32 della Costituzione va raffreddato. Dettaglio che non sfuggirà al Presidente della Repubblica, alla Corte costituzionale, al ministro della Salute e ai lavori parlamentari.

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