sabato 23 giugno 2018
La crisi partì nel 2009 ed ebbe i suoi picchi nel 2015 e 2016. L'austerity pesa ancora su una popolazione stremata
Foto archivio Ansa

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Per la Grecia, almeno formalmente, è la fine di un incubo durato otto anni. Per l’Europa è una bella iniezione di ottimismo, che di questi tempi era necessaria. A patto che il banco non salti, perché l’incubo dell’austerity è finito, i problemi per l’economia ellenica no. Rimane il fatto che, dopo un negoziato durato otto ore l’altra notte, il ministro delle Finanze di Atene, Euklides Tsakalotos, ha ottenuto la fine del programma di aiuti da parte dei creditori internazionali ma, soprattutto, ha spuntato misure per alleggerire il debito e dare quindi al governo Tsipras la possibilità di fare ripartire l’economia, con l’opportunità di tornare a finanziarsi direttamente sui mercati.

L’ENTUSIASMO DI BRUXELLES

L’accordo è stato salutato con una comprensibile forte soddisfazione da parte delle autorità europee, un po’ perché per prime sperano che la 'tragedia greca' sia finita, un po’ per oggettiva necessità, visti i tempi di nuovi nazionalismi ed euroscetticismo. «Questo è un momento storico – ha affermato il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker –. Combatterò sempre per la Grecia, perché resti in Europa, voglio rendere omaggio al popolo greco per la capacità di recupero. I loro sforzi non sono stati vani». E di «storico accordo» ha parlato lo stesso premier Tsipras, scherzando poi sulla cravatta che dovrà ora indossare. Anche il numero uno della Bce, Mario Draghi, con un comunicato pubblicato sul sito dell’istituzione, ha fatto pervenire il suo apprezzamento per la chiusura dell’accordo. In pratica, l’Eurogruppo ha concesso alla Grecia di uscire dal programma di aiuti finanziato da Commissione Europa, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale, la spesso famigerata troika. L’ultima tranche di prestito, per 15 miliardi di euro, è fissata per il prossimo 20 agosto. Atene potrà posticipare di 10 anni il pagamento del prestito di 110 miliardi di euro previsto dal vecchio fondo salva-Stati, più altri 10 anni senza sanzioni se non dovesse riuscire a ripagare nei tempi previsti. In tutto, ad Atene, i creditori internazionali hanno concesso oltre 240 miliardi di euro di finanziamenti. Cifra che Atene ha già in parte restituito, perché quei soldi sono andati a confluire nelle banche dove erano più esposti i Paesi che hanno partecipato al maxi-prestito. Un particolare, questo, non da poco, perché avvalora l’accusa dei principali oppositori dell’austerity, ossia che di soldi alla Grecia per evitare il default e fare ripartire l’economia ne siano rimasti ben pochi.

GLI ANNI DEL CONTRASTO

I presupposti perché la Grecia finisse fuori dall’Eurozona c’erano tutti e in questi lunghi otto anni non sono mancati momenti di forte contrasto. Tutto è iniziato nel 2009, quando le agenzie di rating internazionale hanno abbassato le previsioni sul debito, facendo capire che temevano un default del Paese. Il premier di allora, il socialista George Papandreou, opera i primi tagli e corre ai ripari. Ma non basta. L’Ellade è costretta a sottoscrivere il primo pacchetto di aiuti internazionali da 110 miliardi di euro. Per il popolo greco è l’inizio di un calvario fatto di privazioni e sacrifici che continua ancora oggi. La situazione politica è instabile, gli scioperi sono all’ordine del giorno e nemmeno la nomina del premier 'tecnico' Lukas Papademos porta a un miglioramento della situazione nel Paese. L’economia greca è ferma, la disoccupazione tocca il 25%, il valore più alto in Europa, con punte del 50% in quella giovanile. È il 2012. Viene sottoscritto un secondo pacchetto di aiuti, questa volta da 130 miliardi di euro, a fronte di nuovi tagli e sacrifici. Le strade di Atene si fanno roventi. Spesso le manifestazioni di protesta finiscono con scontri con la polizia e danni alla città. Sulla scena politica nazionale comincia a brillare la stella di Alexis Tsipras, classe 1974, ingegnere elettronico, con un passato da politico regionale in formazioni comuniste. Viene fondato Syriza, una confederazione di partiti di sinistra in cui convergono diverse anime. Alle elezioni anticipate del 2015, Syriza ottiene il 36,4% dei consensi, promettendo la fine dell’austerity. In Parlamento entra anche la formazione neonazista, Alba Dorata, che diventa il terzo partito, grazie a una politica anti-europea e anti-migranti, che cominciano ad arrivare in Grecia a migliaia a causa dell’aggravarsi della crisi siriana.

LA SFIDA DI ATENE

Per il giovane premier e la sua squadra, la strada si presenta tutta in salita. Il ministro delle Finanze dell’epoca, Yiannis Varoufakis, inizia un tour dei Paesi più in difficoltà dell’Eurozona. L’obiettivo è quello di affrontare a muso duro i burocrati di Bruxelles e, in particolare, il 'falco dell’austerity', il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble. Il tentativo si rivela ben presto un fallimento, e Atene si ritrova sola a cercare di fare saltare un banco più grande di lei. Ad aumentare le difficoltà, c’è anche l’atteggiamento troppo istrionico di Varoufakis, che non viene considerato un interlocutore affidabile dall’Eurogruppo. Il 2015 è un anno drammatico. In luglio viene convocato un referendum, con il quale il popolo greco dice un secco 'no' agli aiuti internazionali (e agli obblighi conseguenti). Le banche chiudono per mancanza di contante, la popolazione è alla fame. Nonostante il risultato del referendum, Tsipras è costretto a sottoscrivere un terzo pacchetto di aiuti da 86 miliardi di euro, che viene approvato durante la notte dal Parlamento, con una seduta che tiene tutta Europa con il fiato sospeso. A settembre si torna a votare. Il giovane premier vince di nuovo, ma l’entusiasmo che accompagna la sua riconferma non è quello dei mesi precedenti.

IL 'NUOVO TSIPRAS'

La lezione del 2015 lascia un segno e, dopo una fase più 'rivoluzionaria', diventa sempre più pragmatico. Al posto di Varoufakis, che se ne va in aperta polemica con il premier, viene scelto Euklides Tsakalotos, un economista che parte da posizioni anche più radicali di Varoufakis, ma che si rivela ben presto l’uomo chiave per traghettare la Grecia fuori dall’inferno e un interlocutore affidabile per Bruxelles. Per governare, Tsipras ha dovuto accettare l’alleanza con la formazione di destra dei greci indipendenti. Questa scelta e la prosecuzione, di fatto, delle politiche di austerity gli procurano un brusco calo nei consensi. La crisi dei migranti fra il 2015 e il 2016 tocca il suo punto più alto e le immagini del campo di Idomeni fanno il giro del mondo. L’accordo firmato con la Turchia per fermare il flusso porta un miglioramento della situazione, ma le condizioni della popolazione rimangono critiche. Il primi ministro dimostra di saper lavorare sul lungo termine. Chiude un contenzioso durato anni con l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Fyrom, che convince a cambiare il nome in Repubblica di Macedonia del Nord. In patria viene accolta male, ma Bruxelles applaude. Dopo pochi giorni, arriva quello per cui Tsipras si batte da anni: la ristrutturazione del debito e la liberazione dalle politiche di austerity.

UN FUTURO INCERTO

Dal 20 agosto, quindi, la Grecia sarà libera da quello che è stato considerato il 'giogo' dei creditori internazionali. Ma il Paese non è del tutto al sicuro. La popolazione è allo stremo, gli stipendi hanno perso potere di acquisto e, sebbene dal Pil siano arrivati segnali positivi, si ha davanti un Paese provato da anni di austerity, che per troppo tempo ha avuto un settore pubblico ipertrofico e che, soprattutto, non dispone di una vera economia industriale. Il pericolo che si ritorni sui propri passi è dietro l’angolo, a maggior ragione se si considera che nell’autunno 2019 la Grecia tornerà alle urne. Per questo, nei prossimi anni, Atene sarà sicuramente una 'sorvegliata speciale'. Rimane da vedere cosa sarà in grado di fare Tsipras se rieletto. Il giovane premier è riuscito a concedere un minimo di assistenza alle famiglie più bisognose, troppo poco, però, davanti a quella che molti considerano una vera emergenza umanitaria. Certo, il premier non ha ancora combattuto in maniera efficace quella che rimane la più grande piaga del Paese e la cui sostanziale riduzione potrebbe determinarne un futuro più roseo: l’evasione fiscale.

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