domenica 3 aprile 2011
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Il tema del "fine vita" – ancor prima di investire gli ambiti pubblici della comune opinione, del dibattito culturale e sociale, o della riflessione giurisdizionale e legislativa – coinvolge ambiti privati fatti di fatiche spesso silenziose, di sofferenze personali e familiari. Contestualmente, però, è proprio la consapevolezza della complessità di tali drammatiche vicende a imporre a ciascuno il coraggio di saper leggere e coniugare – oltre i colori e i clamori della cronaca quotidiana – il dolore di quei vissuti privati con la dimensione pubblica che ci riguarda, rispetto alla quale siamo chiamati a offrire, come cittadini, il nostro rispettoso e responsabile contributo. In tal senso e preliminarmente, non si può non continuare a credere nell’importanza di promuovere un approfondimento serio del tema, in primo luogo da un punto di vista culturale, spirituale e più in generale educativo, che sia capace di contrapporsi alle distorsioni di un’informazione spesso strumentale e approssimativa. Occorre, infatti, fornire strumenti di concreto supporto a chi versa in tali condizioni di vita e, insieme, formare persone autentiche e preparate, pronte ad accogliere consapevolmente le sfide dell’oggi, nella fedeltà gioiosa ai valori che informano la dignità più intima della vita umana.Oggi saper declinare concretamente questa nostra fedeltà all’uomo e alla vita significa avere il coraggio di ricollocare il nostro impegno nel merito delle questioni e delle specifiche proposte che le riguardano, a partire da quelle legislative. Com’è noto, infatti, al centro del dibattito politico-istituzionale odierno si colloca proprio il disegno di legge sul "fine vita". Una proposta invocata da più parti – in particolare a seguito dell’esito giurisprudenziale cui ha condotto il lungo e tortuoso iter del "caso Englaro" – con l’obiettivo di fissare una disciplina chiara e univoca, che sia ispirata al principio del favor vitae. In effetti, il vulnus inferto dall’attivarsi di meccanismi giurisdizionali delicatissimi e disomogenei provoca una serie di problemi concreti in ordine all’incapacità dell’ordinamento nel suo complesso di garantire univoche forme di tutela in assenza di riferimenti legislativi precisi e contribuisce, in ultima analisi, ad alimentare confusione e malumore presso la pubblica opinione.Invero, si tratta di un tema particolarmente spinoso, tecnicamente complesso e politicamente delicato, poiché inevitabilmente destinato a intersecarsi con i convincimenti ideali, culturali, spirituali, religiosi e politici di ciascuno. Di qui l’auspicio è che si assicuri un dialogo quanto più ampio e partecipato sia nelle sedi parlamentari che in quelle civili ed ecclesiali, perché ciascuno possa e sappia argomentare con umiltà e senso di corresponsabilità le proprie ragioni.Dal canto suo, a firma di chi scrive, l’Azione Cattolica Italiana ha sottoscritto, insieme a numerose altre associazioni, l’appello al Parlamento – promosso da autorevoli intellettuali e pubblicato su questo giornale lo scorso 12 marzo – perché consideri concretamente l’opportunità di varare il disegno di legge sulle dichiarazioni anticipate in discussione alla Camera. In tal senso, infatti, sentiamo di unirci alle paterne sollecitazioni ancora di recente richiamate dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, quando ha dichiarato che «la legge che sta per essere discussa alla Camera non è una legge "cattolica" [...] rappresenta un modo concreto per governare la realtà […]. Precisare poi che l’alimentazione e l’idratazione non sono terapie, ma funzioni vitali per tutti, sani e malati, corrisponde al buon senso dell’accudimento umano».Il dibattito sul disegno di legge sia anche l’occasione per un’ampia e coscienziosa riflessione circa le risorse e i servizi (materiali e psicologici) necessari a coloro che silenziosamente soffrono, e a coloro che altrettanto silenziosamente ne abbracciano il dolore.
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