Fare riforme non bombe
giovedì 2 febbraio 2023

Le differenze sono una ricchezza, si dice. Per questo, un progetto che prende il nome di “autonomia differenziata” dovrebbe poter essere salutato con favore, nel momento in cui approda in Consiglio dei ministri. L’Italia è terra di campanili e ogni territorio ha legittime richieste da portare avanti, a nome delle proprie comunità. Ci sono interessi diversi, da ricomprendere in unico tessuto nazionale, ed è un bene che ci si possa esprimere e confrontare rispetto alle proprie idee di futuro.

Sono soprattutto le zone che non hanno addosso i riflettori della cronaca, a dir la verità, a chiedere da tempo che si illuminino i problemi veri: la mancanza della scuola per i propri figli, l’azzeramento dei trasporti locali, fosse anche solo lo scuolabus degli studenti, la scomparsa di presìdi sanitari indispensabili, dal punto nascita agli ospedali, che prima c’erano e adesso non ci sono più, a causa magari di cattive economie di scala.

È di quell’Italia che si sta “ritirando”, per usare un’immagine del presidente Sergio Mattarella, che si dovrebbe parlare oggi prendendo in analisi l’ultima bozza del disegno di legge messa a punto dal ministro Roberto Calderoli. Un Paese fatto di città e di tante “aree interne”, di piccoli Comuni, di milioni di cittadini che stanno vivendo sulla propria pelle il disagio di una stagione difficile. È un’Italia che rivendica, per usare una parola che va molto di moda, una propria sovranità e vorrebbe risposte all’altezza.

Si è deciso invece di andare di corsa, quasi a passo di carica, su questo tema e la fretta con cui si è arrivati all’incontro odierno fa affiorare più di un dubbio sulla bontà del provvedimento, quasi si dovesse pagare un dividendo alla Lega, il principale sponsor dell’“autonomia differenziata”. D’altra parte, la disinvoltura con cui questo partito è passato dalla sbandierata “secessione” degli anni Novanta alla successiva “devolution” (il decennio dopo) fino a un più mite neofederalismo è un elemento che fa pensare. Ora si parla di “Lep”, i Livelli essenziali di prestazione, si dibatte su spesa storica e costi standard, si ragiona di un fondo perequativo per evitare iniquità tra diverse aree territoriali.

Stando alle parole-chiave, sembra esserci meno retorica e più pragmatismo. L’entusiasmo con cui il Veneto, ad esempio, si appresta a vivere questa giornata, definita “storica” dallo stesso Luca Zaia, è certamente il frutto di una “battaglia” cominciata in un modo e finita in un altro, che va riconosciuta e compresa. Ma questo non basta.

Il pressing attuato dall’opposizione e da molti governatori per evitare che capitolichiave come la scuola passino integralmente dallo Stato alle Regioni segnala che ci sono ostacoli enormi ancora da affrontare, per evitare come ha detto la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ci siano «territori di serie A e territori di serie B». Si pensi a come hanno reagito diversamente i sistemi territoriali di fronte all’emergenza pandemica: è evidente il rischio, adesso, che la forbice della cura si allarghi, creando un abisso tra modelli d’eccellenza per pochi e aziende sanitarie locali in sempre maggiore difficoltà.

Sullo sfondo, oltre al dualismo irrisolto tra Nord e Sud, resta la contrapposizione tra Governo centrale ed Enti locali, che neppure la tardiva interlocuzione tra il ministro e le Regioni è stata in grado di sanare. Anzi, la sensazione è che più si proceda con il negoziato, più emergano nuovi problemi, senza che si sia ascoltata la voce dei protagonisti delle realtà locali, dai Comuni alle imprese, dai lavoratori ai giovani, ai corpi intermedi che danno forza alla società civile. Prima del voto politico di settembre, i vescovi delle aree interne di 12 Regioni italiane si erano espressi in un documento frutto di un lavoro lungo tre anni, contro i rischi di un’autonomia differenziata incapace di affrontare «le disuguaglianze del Paese».

«Chiediamo alla politica – avevano detto dando voce alla gente dei propri territori – interventi seri, concreti, intelligenti, ispirati da una progettualità prospettica, non viziata da angusti interessi o tornaconti elettorali». Il tempo non manca, e procedere a tutti i costi (è il caso di dirlo) rischia di diventare un deflagrante azzardo.

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