giovedì 3 febbraio 2011
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La crisi si è abbattuta in maniera pesante sulle famiglie. Ne avevamo avuto il sentore netto, ora l’Istat lo certifica, pubblicando i dati sulla distribuzione del Pil e del reddito disponibile delle famiglie nel triennio 2007-2009, quello della crisi economica. I risultati sono di grande interesse sia a livello politico, per il dibattito sul federalismo, sia economico per politiche di rilancio che riducano la disoccupazione. Dai numeri emerge una profonda trasformazione della mappa economica del Paese: Il Nord ha sofferto la crisi più del Sud, ma anche all’interno del Nord le posizioni relative sono cambiate, perché il Nord-est ha tenuto più del Nord-ovest, e Bolzano ha conquistato il primato nella graduatoria del reddito disponibile pro-capite. A conferma si osserva anche che l’incidenza del Pil del Nord-ovest rispetto all’Italia è in tendenziale diminuzione dal 1995, mentre la quota del Nord-est mantiene il suo livello. Il Nord-ovest ha perciò bisogno di riconquistare il terreno perduto. L’Italia centrale è in questo periodo l’area in cui tutti gli indicatori – Pil e reddito disponibile – puntano all’aumento in modo uniforme.Nel 2009 così la crisi economica ha diminuito del 2,7 per cento il reddito disponibile delle famiglie italiane, che con un aumento dei prezzi dello 0,7 per cento significa una diminuzione di potere d’acquisto del 3,4 per cento. Non sorprende poi che, nella crisi finanziaria, i redditi netti da capitale abbiano registrato la diminuzione più elevata, in particolare in Lombardia. Per quanto riguarda il reddito da lavoro dipendente il Nord-ovest e il Mezzogiorno sono le aree con la maggiore flessione dei valori aggregati, mentre il Nord-est e il Centro hanno meglio assorbito l’impatto della crisi. L’aumento delle prestazioni sociali, soprattutto nelle aree di crisi, ha contribuito in modo cruciale a stabilizzare il reddito delle famiglie: il sistema di sicurezza sociale ha funzionato nel modo appropriato ed è quindi da qualificare ulteriormente nella sua efficacia. In particolare per le famiglie con figli, che maggiormente hanno subito il peso della recessione.La crisi economica che stiamo attraversando evidenzia una caratteristica fondamentale: tutti i Paesi sono entrati simultaneamente in difficoltà, mentre l’uscita sta avvenendo con tempi differenti e ciò è il segnale di una profonda redistribuzione del peso economico delle diverse aree in base alla specializzazione economica. In Europa il Paese che per primo è emerso in modo vigoroso dalla crisi è la Germania, con cui è elevata la nostra quota di interscambio commerciale. In questa fase, tuttavia, si è molto indebolito il legame fra crescita economica tedesca e crescita economica dell’Italia manifatturiera del Nord. Qualcosa è cambiato, e in questa radicale trasformazione è fondamentale la rapidità con cui le imprese, sostenute da un’adeguata politica economica, si riposizionano nel nuovo scacchiere della produzione mondiale. I tedeschi stanno vincendo su tutti i mercati grazie alla qualità dei loro prodotti, di cui è specchio la qualità e qualificazione del loro lavoro: la fondamentale differenza fra l’Italia e la Germania non è il potenziale di qualità ma il fatto che la qualità del lavoro e dei prodotti si concentra in molte grandi imprese, laddove l’Italia ne ha invece poche. Non molto differente è il confronto con la Francia. Le grandi imprese non si improvvisano, ma si possono pur sempre favorire, anzitutto valorizzando le reti d’impresa e la sicurezza e qualità del lavoro. E, proprio come in Germania, puntare su una fiscalità premiante per la famiglia: per sostenerne i redditi, per rilanciare il Paese.
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