Far vivere la Scala del calcio: cercare il nuovo, custodire l'antico
giovedì 12 gennaio 2023

Caro direttore,
la prima volta a San Siro non si scorda più. Per me fu una domenica di settembre del 1969. Temperatura estiva. Papà posteggia la 600 bianca e corriamo verso la cancellata. La folla ci stringe da tutti i lati, non individuiamo nessun volto amico, solo schiene e pance, voci sconosciute, rumori, e poi saliamo le rampe verso il secondo anello. Sono sempre più piccolo, più compresso, la sciarpetta coi colori rossoneri mi si attorciglia al collo come un cordone ombelicale. C’è un ultimo tratto, un corridoio soffocante come un utero, e io vorrei tanto tornare indietro, nella mia cara stanzetta, ma sono costretto ad avanzare, papà mi stringe forte la mano, una spinta da dietro e all’improvviso – indescrivibile, sconfinato, meraviglioso – mi appare il grande prato verde, infinitamente pulito in mezzo al caos. Neppure il mare è così grande, neppure le montagne sono così cariche di colore e di ossigeno, e i sogni non sono mai così chiari. Se le contrazioni che mi hanno espulso dalla pancia materna mi hanno inevitabilmente costretto ad amare la vita, quello spalancamento mi ha per sempre obbligato ad amare il Milan e lo stadio di San Siro. Si è trattato di un parto paradossale, tutto maschile, un trapasso virile dall’ombra alla luce, dalla placenta paterna al mondo. È stata la mia esperienza a otto anni ed è l’esperienza che provano ogni domenica molti ragazzini. Metaforicamente è la ripetizione della nascita, scioccante, certo meno dolorosa dell’originale, anzi, spesso così felice che negli anni sarà rinnovata molte altre volte, nella speranza di ritrovare quell’emozione festosa. Ora “la Scala del calcio”, dopo cento anni di meravigliose pagine sportive e di indimenticabili concerti, pare destinata alla “decostruzione”. Le due società calcistiche vogliono un impianto tutto nuovo con a fianco un comparto multifunzionale (hotel, uffici e l’immancabile centro commerciale). E sono quindi pronte ad abbattere 150.000 tonnellate di cemento e ferro, miste ad amianto, con tutte le criticità che derivano per impatti ambientali, qualità di vita dei residenti, vicinanza alle case, cantieri, rumore, vibrazioni, mobilità, con una processione infinita di camion verso le discariche, vanificando così anni di lotta alle polveri sottili. Siamo ancora in tempo per cambiare, in zona Cesarini, il risultato della partita, così come si sono ribaltate tante sfide giocate su quel prato verde. L’arbitro non ha ancora fischiato la fine: si potrebbe indire un concorso internazionale per l’ammodernamento dello stadio e degli spazi esterni, in modo che la cerimonia inaugurale dei XXV Giochi olimpici invernali del 2026 non sia l’ultimo atto della vita di San Siro. Dopo aver riammodernato il Teatro alla Scala, Milano è certamente in grado di ammodernare anche la Scala del calcio, mischiando il vecchio con il nuovo, l’antico col moderno, il passato con il futuro, secondo il motto del patrono sant’Ambrogio: nova semper quaerere et parta custodire, cercare sempre cose nuove e custodire quelle antiche.

Giovanni Colombo già consigliere comunale di Milano


Caro dottor Colombo, trovo – come sempre – molto bello ciò che scrive. E ne apprezzo la buona sostanza, ma questo lei lo sa già, visto che ne ho già brevemente scritto proprio qui in un dialogo con un altro lettore ( https://tinyurl.com/vecchiosansiro ). Concordo praticamente su tutto tranne che per un dettaglio cruciale: il colore della sciarpetta. La mia è nerazzurra. Ma stavolta il derby è con altri.

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