domenica 4 luglio 2010
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Il Papa torna oggi in Abruzzo. Nell’Aquilano ferito dai terremoti, in una zona – quella di Sulmona – che per fortuna, data la distanza dal capoluogo, ha risentito meno del sisma del 6 aprile 2009 e, a parte la grande paura e qualche danno, non ha registrato lutti. La conca peligna – come si chiama quest’area, dal nome dell’antica gens preromana dei Peligni che l’abitava – incastonata nella corona dei monti, offrirà così al Pontefice il proprio volto più vero, che è di grande bellezza. Lo stesso che l’eremita Pietro Angeleri, divenuto Papa nel 1294 col nome di Celestino V, contemplava dall’alto del suo eremo, appollaiato come un nido d’aquila sul monte Morrone. Lì, in uno dei periodi più turbolenti della storia della Chiesa, Pietro ricevette una delegazione con Carlo II d’Angiò, re di Napoli, e suo figlio Carlo, re d’Ungheria, che andava a offrirgli la tiara papale. Pietro resisté, accettò, si pentì; e, caso unico nella storia della Chiesa, dopo cinque mesi abdicò, trovando più impervio ascendere al soglio di Pietro che alle dirupate vette d’Abruzzo. Dante sembra averlo mandato all’inferno, dedicandogli due versi – «vidi e conobbi l’ombra di colui/ che fece per viltade il gran rifiuto» – anonimi, tuttavia: per cui da tempo si dubita che li riferisse davvero al povero e fuggitivo Pietro, il quale non tornò mai sui suoi monti e morì imprigionato dal successore Bonifacio VIII nella rocca di Fumone presso Anagni, e non piuttosto a Pilato, per il rifiuto di salvare il Salvatore del mondo.Le spoglie di quel santo eremita sono ospitate da un anno nelle Chiese abruzzesi, in un itinerario che ha rinnovato la devozione delle folle per il Papa più schivo, per il Papa-meno-Papa della storia e che ricevono per la seconda volta l’omaggio di Benedetto XVI, il quale nel 2009 varcò le porte della semidistrutta basilica aquilana di Collemaggio dove Celestino venne incoronato nel 1294 e dov’è sepolto, per sostare di fronte al suo feretro. In quell’occasione Benedetto XVI disse, con un sospiro, che da tempo era in attesa di entrare a Collemaggio. E il mondo si commosse, a vedere la sua bianca veste tra i cumuli di detriti, perché l’idea di un Papa in attesa di entrare in una chiesa è un po’ lontana dalla percezione comune; e anche perché di fatto era il primo capo di Stato, in anticipo rispetto al G8, a recarsi nella città terremotata.Questo di oggi è dunque un incontro di Papi. I quali convengono nell’antica, bellissima Sulmona: e questa è un’altra particolarità destinata a colpire l’immaginazione. Non è la visita di un Papa alla tomba di un predecessore, scendendo alle grotte Vaticane o spostandosi in una basilica romana, come avviene in questi casi, giacché il luogo di sepoltura di Celestino non è Sulmona bensì l’Aquila, e Benedetto XVI esce da Roma per rendergli omaggio. Si spostano per cercarsi. Si ritrovano entrambi in un altrove. È un gesto carico di metafore impossibili da arginare. È un tendersi la mano a distanza di otto secoli. È un ponte tra Pontefici del Medioevo e della mediaticità. È un ricercarsi in tempi di travaglio, in una continuità ideale tra la Chiesa dei monti, ascetica, rarefatta, con gli occhi dalle cime al cielo, impersonata da Celestino, e quella che allo stesso cielo rivolge lo sguardo per riaffermare la sua vera identità, impersonata da Benedetto, che oggi ha intorno tutto l’Abruzzo a sostenerlo.Altre metafore porterebbero a pensare che è un incontro di Papi che fronteggiano il mondo, che non vogliono farsi imprigionare dal mondo, che sono in lotta col mondo. E a una manciata di chilometri, sull’alta giogaia montuosa chiamata Appennino che separa Roma dall’Abruzzo, sono venuti a cercare aria pura. I colori della Chiesa saranno, per un giorno, non il marmo, non l’oro, non il bronzo, ma il verde dei boschi e l’azzurro del cielo, sotto il sole più splendente dell’anno, quello solstiziale, che segna il prevalere del giorno sulla notte; della luce sul buio.
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