sabato 23 ottobre 2010
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Quello che sale dalle bandiere italiane bruciate da alcuni manifestanti è, forse, il fumo più nocivo tra i tanti che, con miasmi, lacrimogeni, auto e camion in fiamme, funestano il cielo di Terzigno e di Boscoreale. È il simbolo del senso dell’unità nazionale che va in cenere, proprio alla vigilia dell’assai celebrato (almeno a parole) 150° anniversario. Non è retorica, è nuda cronaca. Strano destino, quello del Tricolore: un tempo agognato e mostrato con orgoglio; oggi, troppo spesso, buono solo per i campionati di calcio o, peggio, trattato come un comune straccio. In questo 2010 si moltiplicano le iniziative e non si contano le mostre pittoriche dedicate all’Italia unita. In una, tuttora in corso al Museo di Roma a Palazzo Braschi, si possono ammirare dipinti che, letteralmente, annegano nel verde, bianco e rosso delle bandiere sventolate (in battaglia, in segno di festa, nei giorni di lutto) da popolani e nobiluomini di ogni parte della Penisola. Negli anni, altre volte il Tricolore ha garrito con onore ed è stato onorato dagli italiani. Poi qualcosa deve essere accaduto, qualcosa di lento e quasi d’impercettibile come può essere un processo di sfilacciamento. Al Nord si è cominciato a snobbare la bandiera e, con lei, l’inno di Mameli, talvolta perfino a sostituirli. Al Sud sono state le mafie a macchiarlo, contrapponendo il loro anti-Stato sanguinario e disonesto allo Stato legittimo. Ciò che sta avvenendo oggi alle porte di Napoli, si dirà, è diverso. C’è una popolazione che teme gli effetti che potrebbe avere sulla salute la realizzazione di una nuova discarica. E fin qui niente di strano: il mondo è pieno di gente che protesta (a ragione o a torto, non è questo, qui, il punto) in nome di un principio che negli Stati Uniti definiscono Nimby. Not in my back yard, «non nel mio cortile». Ma è raro che si arrivi a bruciare la bandiera del proprio Paese. In Cile, ad esempio, il vessillo nazionale è divenuto il simbolo della terribile avventura dei 33 minatori, dall’inizio drammatico al lieto fine. Negli Usa, neanche nei cortei dei pacifisti radicali contro gli interventi armati americani si oltraggiano le stelle e le strisce. Right or wrong, it’s my country, dicono sempre da quelle parti. «Giusto o sbagliato, è il mio Paese». E quella bandiera lo rappresenta tutto.Non a caso, i sindaci che manifestano al fianco dei loro concittadini indossano la fascia tricolore. Lo stesso che campeggia sulle uniformi dei militari e delle forze dell’ordine, a Terzigno come in Afghanistan. Li unisce, infatti, l’appartenenza a una medesima comunità nazionale, che nessun localismo o particolarismo può travalicare, pena la perdita del senso del bene comune. Noi non sappiamo se i cittadini di Terzigno e Boscoreale troveranno pace e ragione. Non sappiamo se la nuova missione di Guido Bertolaso sarà coronata dal successo. Non sappiamo se un giorno, come ha sostenuto ieri il presidente del Consiglio, sulle cave colme di rifiuti sorgeranno parchi pubblici con prati verdi dove passeggiare, andare in bicicletta, far giocare i bambini, far correre i cani. Sappiamo però che dare fuoco a una bandiera non è un gesto qualunque. È un gesto di una gravità simbolica incontestabile, che si potrebbe definire ultimativa: chi brucia una bandiera nazionale "brucia" un popolo. Ma noi italiani, da Adro a Terzigno, ci sentiamo ancora un popolo?
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