giovedì 16 dicembre 2010
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È diventata l’immagine che caratterizza le dittature più longeve del pianeta. Una sedia vuota, un’altra dopo quella che troneggiava sul palco del Premio Nobel per la pace conferito al dissidente cinese Liu Xiaobo, tenuto in carcere dal regime di Pechino. La stessa scena si è ripresentata ieri nell’emiciclo del Parlamento europeo che quest’anno ha voluto conferire il suo più alto riconoscimento per i diritti umani, il Premio Sakharov, all’oppositore cubano Guillermo Fariñas, sopravvissuto a 135 giorni di sciopero della fame per chiedere la liberazione dei detenuti politici in stato di malattia. Un’altra assenza forzata, dunque, nel segno dell’arroganza e della pavidità che accomuna le tirannie comuniste.Ma il copione, nonostante la sceneggiatura sembri identica, potrebbe contenere un finale molto diverso. A differenza della sedia vuota di Oslo, dominata dall’onnipresenza del gigante asiatico, seconda potenza economica del mondo, quella collocata nell’Europarlamento ci appare un po’ meno desolante, in bilico tra un passato che si vuole archiviare e un futuro di cambiamenti che, per quanto timidi, si stanno sperimentando nell’isola del socialismo tropicale. La Cina che tiene in pugno l’indebitata America, invade l’Africa con le sue finanziarie e il mondo intero con le sue merci, può permettersi di rinviare al mittente le flebili domande di clemenza che le vengono rivolte dai leader occidentali, a cominciare da Barack Obama. Purtroppo, non c’è alcuna speranza che l’ex Impero Celeste gestito dai burocrati rossi conceda la libertà a Liu Xiaobo e alle migliaia di dissidenti finiti nel terribile sistema carcerario capital-comunista di Pechino.A Cuba, invece, qualcosa sta cambiando. Incredibile ma vero, un prigioniero politico come Fariñas è uscito vincitore dal lungo braccio di ferro con la dittatura castrista, ottenendo la liberazione di quasi tutti i suoi compagni di sventura. Dei 52 detenuti della Primavera negra del 2003, ben 40 sono stati rilasciati tra luglio e ottobre, grazie soprattutto all’attiva e coraggiosa mediazione della Chiesa cattolica. Intanto la crisi economica spinge Raul Castro a varare un piano di privatizzazioni e di caute riforme, nonostante la presenza ancora ingombrante del lìder maximo Fidel che, bontà sua, ha riconosciuto recentemente alcuni errori nell’attuazione del socialismo.Qualcuno all’estero ha già esultato inneggiando «all’inizio di un’era nuova». Ma resta la domanda: quale strategia deve adottare la comunità internazionale? «Non ascoltate il canto delle sirene di un regime crudele», è l’invito rivolto da Fariñas nel video-messaggio rivolto all’Europarlamento. Senza giri di parole il dissidente cubano ha dettato la linea dell’intransigenza, l’unica in grado di far breccia in un sistema totalitario. E ha supplicato l’Unione Europea di non modificare la "Posizione comune", il documento del 1996 che stabilisce uno stretto legame tra le aperture della Ue a Cuba e il rispetto dei diritti umani sull’isola. Anche se qualche Paese, come la Spagna, pensa che sia ora di andare oltre quel testo.Da oggi però l’Unione Europea ha un motivo in più per ribadire i principi affermati quattordici anni fa. Anche a Cuba, come già nei regimi comunisti dell’Est Europa, le riforme economiche sono una parola vuota se non s’accompagnano alla libertà e alla democrazia. Altrimenti, perché assegnare un premio che porta il nome di Sakharov a un oppositore del regime castrista?
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