martedì 14 settembre 2010
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Parte un nuovo anno scolastico, le campanelle riprendono a suonare e a scandire il tempo dell’apprendimento. Finalmente torna soprattutto la scuola vissuta, dopo quella dei nodi aggrovigliati, delle analisi contrapposte e delle polemiche sferzanti a lungo protagonista delle notizie di fine estate. Giovani e adulti di nuovo insieme per l’avvio di un cammino che ha il sapore di un’avventura: l’avventura educativa.Ma quali proposte attendono i ragazzi in classe? Che cosa offre la programmazione che è stata minuziosamente elaborata per loro? Assistiamo a un fenomeno in crescita e che merita attenta riflessione. Da tempo, le discipline più tradizionali si vedono sempre più affiancate dai numerosi progetti approvati dai singoli istituti. La lotta al tabagismo, alle tossicodipendenze, all’abuso dell’alcol, agli incidenti stradali, all’incuria verso l’ambiente, all’obesità, diventano a loro volta "materie", assurgono alla dignità di oggetti specifici di insegnamento e quindi vengono a pieno diritto incorporati nelle ore curricolari. Sforzo meritevole, volto certo alla preparazione di nuovi cittadini responsabili e consapevoli, più sani e longevi, onesti ed ecologici. Nessuna persona di buon senso potrebbe avanzare obiezioni a questo andamento, o almeno alle intenzioni che lo originano. Eppure, a ben pensarci, qualcosa non torna. Tutto questo, per quanto utile, di per sé non basta.Quello che in certa misura sconcerta è assistere a ciò che potremmo definire il primato dei comportamenti. Non fumare, non esagerare con l’alcol, non drogarsi, non lasciarsi morire di inedia, rispettare l’ambiente costituiscono comportamenti da acquisire per via informativa, la più specialistica e dettagliata possibile. E allora porte spalancate agli esperti: medici, pompieri, poliziotti, ginecologi, ognuno col proprio slang professionale. C’è di mezzo l’ingenuità di credere che sia sufficiente presentare la velocità come fattore di rischio perché i ragazzi moderino automaticamente la manetta dell’acceleratore.Forse il punto sta qui, proprio nella distinzione fra informazione ed educazione. Ti informo se ti rendo – giustamente – consapevole che fumando avrai una certa probabilità di avere il cancro al polmone e con questo di morire. Ti educo se aiuto a recuperare un buon motivo per cui valga la pena vivere e magari decidere di non accendere la sigaretta. E non c’è bisogno di strutturare l’ennesimo corso ad hoc – educazione alla pena di vivere? – perché le lezioni di storia, geografia, letteratura, inglese e matematica in fondo esistono anche per questo. Non si tratta solamente di nozioni da apprendere, sono l’occasione di confronto con teorie e uomini del passato e del presente che hanno cercato soluzione alla loro "questione umana". Anche la cosiddetta educazione all’affettività viene per lo più ridotta a istruzioni per l’uso, a tecnicismi o strategie di corteggiamento. Come se per imparare ad amare non potessimo partire anche da Shakespeare o Dante o Einstein.L’educazione è in primis educazione alla vita, i comportamenti vengono di conseguenza. L’uomo colto, non quello solo informato, possiede strumenti critici e valutativi per decidere cosa fare della propria esistenza e di quella degli altri. Come adulti responsabili abbiamo il compito di riattivare e tenere viva nei giovani la libertà, quell’energia che permette, di fronte a un bivio, innanzitutto di individuarlo e poi di scegliere una strada piuttosto che un’altra. Che permette e non esclude a priori la possibilità di commettere anche errori.Perché abbiamo bisogno di persone libere, non di scimmie ammaestrate che magari sanno bene come muoversi, ma hanno ragioni per farlo.
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